Più soldi al mondo dell’istruzione, quindi a scuola ed università, ma anche per gli stipendi degli insegnanti, attraverso i ricavi che lo Stato si appresta ad ottenere con i tagli a detrazioni e agli sgravi fiscali ai petrolieri, con delle modifiche alla manovra economica da attuare attraverso le due Camere: l’annuncio arriva dal vicepremier Luigi Di Maio, che su Facebook, il 2 novembre, ha annunciato alcune modifiche che il Movimento 5 Stelle vuole apportare alla Legge di Bilancio.
“Nei prossimi due mesi” nell’iter della manovra di fine anno, “dovremo dare più soldi a scuola, università e ricerca”, “tagliando un po’ le detrazioni e gli sgravi fiscali ai petrolieri. Tagliamo da dove si inquina e mettiamo dove serve, per la formazione dei ragazzi e anche per gli stipendi degli insegnanti”.
Nei ‘post’ del leader dei grillini c’è scritto anche: “Pensioni d’oro, più risorse per scuola, università e ricerca, e tagli ai fondi ai giornali”.
Ma perché non risultano ad oggi presenti tali disposizioni? Sono misure che mancano, spiega Di Maio, perché “abbiamo fatto una corsa contro il tempo e” su alcune norme “stiamo ancora facendo i conti, come per le pensioni d’oro: non sono ancora soddisfatto perché voglio recuperare ancora di più, recuperare più soldi possibile a questa gente che ci ha rubato il futuro”.
In effetti, il guadagno per lo Stato dalle pensioni d’oro risulterebbe molto lontano da quelle cifre altisonanti annunciate per mesi dal M5S.
Rimane da capire l’entità della riduzione degli sgravi ai petrolieri, da adottare attraverso la legge economica di fine 2019.
Perché in Italia gli insegnanti sono tanti, oltre 750 mila, e programmare un loro incremento stipendiale degno di questo nome (non di certo di poche unità di euro), comporta lo spostamento di risorse ingenti: diversi miliardi di euro. Almeno una decina, se proprio si vuole avvicinare i compensi a quelli prodotti dalla media dei Paesi Ue. Cifre da far tremare i polsi.
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