Home Alunni Prove invalsi, ci siamo: ma sono davvero un mezzo di miglioramento?

Prove invalsi, ci siamo: ma sono davvero un mezzo di miglioramento?

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Il 16 giugno tutti i ragazzi di terza media affronteranno le prove invalsi, prova nazionale d’esame, l’unica che non verrà presentata dai professori.

La verifia, infatti, sarà uguale per tutti gli studenti italiani, redatta dall’Istituto Invalsi.
Le prove del Sistema Nazionale per la Valutazione del Sistema dell’Istruzione sono dei test standardizzati nazionali, solitamente anonimi, per la rilevazione degli apprendimenti somministrati nel corso dell’anno scolastico agli alunni nelle seconde e quinte elementari, prime e terze medie e seconde superiori.
Ma, nel caso delle terze medie, i test non saranno anonimi e andranno a fare media con tutte le altre prove d’esame per il voto finale.

Generalmente le prove invalsi servono per verificare il livello di preparazione delle classi, così da poter constatare se si rendono necessari interventi migliorativi ed eventualmente capire dove e come attuarli, adeguando il più possibile i programmi scolastici in modo da garantire la riuscita dei ragazzi. Tuttavia, negli ultimi anni sono stati spesso al centro di polemiche da parte dei genitori e dei docenti, principalmente perché si teme che questo genere di prova – che, caso o meno, risulta sempre essere quella in cui gli alunni di terza media incontrano maggiore difficoltà e ottengono i voti più bassi – voglia sostituire la valutazione dell’insegnate o quella delle singole prove.

 

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In realtà, i test sono fondamentali per ottenere una panoramica chiara sul sistema educativo italiano affinché esso sia al passo con i sistemi presenti nel panorama europeo: nella maggior parte dei paesi europei occidentali infatti le scuole sono abituate ormai da anni a convivere con rilevazioni di apprendimento su base nazionale.
Dunque l’unico obiettivo è quello di fornire alle istituzioni dei dati utili sul funzionamento della scuola italiana e il grado di competenze raggiunto in due aree specifiche, quella della comprensione del testo e quella della padronanza della matematica.
Più che il timore del ridimensionamento del giudizio dei singoli docenti, bisogna scongiurare il rischio che le prove invalsi e i risultati di esse non vengano usati in alcun modo per applicare differenze retributive e di risorse tra scuole, province e regioni.
Migliorare i programmi e l’operato degli insegnanti non deve assolutamente divenire un pretesto per creare scuole di élite o differenti livelli qualitativi di istruzione.

 

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