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Responsabilità docenti, parliamo di culpa in vigilando ma dimentichiamo la culpa in educando: quando vanno chiamati in causa i genitori?

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Nelle ultime settimane sono stati particolarmente frequenti i casi di cronaca scolastica che hanno visto protagonisti gli insegnanti, vittime di aggressioni da parte di genitori o di alunni, anche per i più futili motivi, legati magari all’uso dello smartphone in classe. A questi casi si aggiungono altri episodi critici, in cui gli alunni mettono in pericolo i compagni o gli insegnanti stessi (vedi il caso dell’uso della pistola ad aria compressa in classe) e i docenti sono comunque chiamati a risponderne. Un contesto, quindi, in cui o si è aggrediti o si viene messi alla gogna, talvolta, per qualcosa che accade sotto i propri occhi o quasi.

La questione è complessa, non riguarda semplicemente la scuola, ma ha risvolti di natura sociologica, che chiamano direttamente in causa le famiglie, laddove abdicano al proprio ruolo educativo.

Il tema della responsabilità docenti e della responsabilità genitoriale

A questo proposito vale la pena ricordare che per quanto accade in classe le famiglie hanno una precisa responsabilità, normata dall’articolo 2048 co.1c.c., per il quale il padre e la madre o il tutore sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi. Ai genitori insomma è attribuito non solo un dovere di vigilanza, ma anche un dovere di educazione (sancito peraltro anche dall’articolo 30 della Costituzione) relativamente alla regole della civile convivenza.

Facciamo un esempio: se un ragazzo tira un gessetto nell’occhio del compagno, chi ne risponde?

In tema di responsabilità docenti, se è vero che questi ultimi rispondono per eventuali danni cagionati agli studenti qualora si accerti la loro culpa in vigilando, non va dimenticato che anche i genitori possono essere chiamati in causa e rispondere degli stessi fatti per culpa in educando. Dunque – chiariamolo – la responsabilità del docente e quella del genitore non sono alternative e possono essere tirate in ballo entrambe per uno stesso episodio. Insomma l’eventuale culpa in vigilando di un insegnante non esclude la culpa in educando del genitore, in quanto il primo deve sorvegliare gli alunni in modo adeguato, prendendo tutte le misure atte a evitare una situazione di pericolo; ma è responsabilità del secondo impartire al minore l’educazione adeguata a scongiurare comportamenti illeciti o causa di rischio per il proprio figlio o per i suoi compagni.

Precisiamo anche che la stessa eventuale culpa in vigilando per un alunno di scuola primaria è cosa ben diversa dalle responsabilità che un insegnante può avere nei confronti di un alunno di scuola superiore. Il dovere di sorveglianza, infatti, va commisurato all’età e al grado di maturazione psichica e fisica degli alunni. È anche vero che la legge presuppone per qualunque studente minorenne l’incapacità di agire (art. 2 c.c.) a prescindere dall’età. Ne consegue che per atti illeciti compiuti dai minori rispondono coloro i quali abbiano in quel momento obbligo di vigilanza.

La prova liberatoria

Sarà la cosiddetta prova liberatoria a garantire il docente da conseguenze drammatiche, qualora egli riuscirà a dimostrare che l’evento era inevitabile, essendosi verificato in maniera repentina, improvvisa e imprevedibile in un contesto nel quale l’insegnante era comunque presente e aveva esercitato una vigilanza adeguata, prendendo tutte le precauzioni possibili del caso.