Home I lettori ci scrivono Riforma istruzione tecnico-professionale, cui prodest?

Riforma istruzione tecnico-professionale, cui prodest?

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Il decreto ministeriale n. 240 del 7 dicembre 2023 sta proponendo una sperimentazione nazionale relativa all’istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale (riforma che è stata avviata con il DDL 144 del 2022). Si tratta di una sperimentazione che verrà attivata dall’anno scolastico 2024-25 previa accettazione della proposta da parte delle istituzioni scolastiche e previa stipula di un accordo di rete.

Le istituzioni scolastiche dovranno accettare entro il 30 dicembre, se vogliono aderire. La rete sarà costituita da istituzioni scolastiche statali e/o paritarie dell’istruzione tecnica e professionale, da istituti tecnologici superiori (ITS Academy), da eventuali istituzioni formative accreditate dalle Regioni, da istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica, rappresentanti del settore produttivo di riferimento e delle impese e delle professioni ed infine anche da altri soggetti pubblici e privati.

Gli Istituti Tecnici e Professionali avranno durata quadriennale e chi li frequenterà potrà muoversi, “orizzontalmente e verticalmente”, tra tutte le istituzioni della rete (definita campus). Le 1.056 ore del quinto anno verranno spalmate nei quattro precedenti con lezioni che potrebbero essere svolte allungando il calendario scolastico nei mesi estivi oppure prolungando, nel pomeriggio, l’orario settimanale. Queste ore potranno anche essere appaltate agli altri soggetti della rete.

È previsto l’utilizzo di esperti esterni nonché accordi di partenariato con i privati che prevedono la possibilità di assolvere all’obbligo scolastico tramite degli stage in azienda a partire dai 15 anni. Inoltre, per permettere tutto questo gli insegnanti dovranno predisporre percorsi flessibili, personalizzati e certificati attraverso le Unità di Apprendimento (UDA).

Insomma, un progetto di formazione tecnica e professionale probabilmente utile per fornire alle aziende presenti sul territorio il personale qualificato che cercano ma che priva di una cultura generale che aiuta a non essere manipolati oltreché ad essere consapevoli, creativi e innovativi. Sì, perché la cultura a 360 gradi non crea soltanto “oppositori” ideologici ma anche evoluzione professionale, tecnica e scientifica.

Un Paese, come il nostro, ha molto bisogno di quest’ultimo tipo di formazione per poter reggere il confronto economico, scientifico e tecnologico con il resto del mondo. Agli insegnanti questa sperimentazione comporterà una ulteriore perdita di credibilità per quanto riguarda le loro capacità formative, proprio perché essi saranno vicariati nella loro funzione da vari altri enti e realtà formative, come sopra ricordato. Inoltre, come già detto, il loro orario verrà rivoluzionato.

Ed ancora, la burocrazia aumenterà vertiginosamente a causa del sistema delle certificazioni che riguarderà sia tutte le unità di apprendimento (UDA) sia la personalizzazione delle 1.056 ore che gli studenti dovranno svolgere all’interno dei percorsi offerti dalla filiera tecnologico-professionale.

Possiamo anche prevedere che ci sarà un calo drastico dei posti in organico di fatto nonostante il DDL neghi che questi cambiamenti possano intaccare i posti di lavoro degli insegnanti. Ed il tutto senza oneri per la finanza pubblica. Cioè, con il solito stipendio di sempre. Ma se siamo arrivati a questo un motivo ci sarà certamente. Appare chiaro che lo scollamento tra la formazione scolastica e universitaria da un lato e quella che richiede il mondo del lavoro dall’altro non può essere attribuito esclusivamente a fattori extra scolastici o extra universitari. La filiera formativa deve necessariamente corroborare il progresso scientifico e tecnologico e non esserne causa di rallentamento.

La formazione di base serve sempre e sempre servirà per poter sviluppare nuove idee e nuove competenze. È evidente che tale formazione non viene più garantita, proprio in un momento storico in cui essa serve di più. Ai nostri ragazzi spesso manca una solida formazione di base e ciò li demotiva e li emargina perché non li rende capaci di competere nella difficile e complessa realtà del mondo del lavoro di oggi, spesso altamente qualificato.

Gli insegnanti avranno qualche responsabilità in tutto questo? E se sì, invece di togliere gradualmente il primato formativo agli insegnanti (oggi gli insegnanti degli istituti tecnici e professionali, domani tutti) perché non si è operato e non si opera controllando seriamente le competenze professionali di tutti, così come si fa in Francia dove gli ispettori vanno nelle scuole ed entrano nelle classi per valutare il lavoro svolto dal docente?

Perché abbandonare la formazione scolastica al libero mercato? Un mercato al ribasso e alla migliore offerta, dove le varie istituzioni scolastiche fanno a gara per accaparrarsi l’utenza residua. Si è preferito seguire la miope logica economica degli accorpamenti scolastici invece di cercare di fare di tutto per mantenere operativi, nel proprio territorio, proprio quegli istituti che le altalenanti mode culturali del momento rendono meno interessanti.

I soldi bisognerebbe spenderli per potenziare la diversità formativa e non solo per la transizione tecnologica. Peraltro, semplificare troppo i concetti, visualizzarli in modo eccessivo con video e animazioni, accedere troppo facilmente all’informazione non sembra abbia aiutato tanto le attitudini riflessive ed estrapolative dei nostri studenti.

La Svezia si è resa già conto di questo e ha vietato l’utilizzo di tablet e computer a scuola perché non facilitano l’apprendimento profondo. In sintesi, si può dire che si è preferito massificare ed omologare la formazione stessa creando dei mega Istituti scolastici ed una certa mercificazione della cultura.

Giuseppe D’Angelo

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