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Rilevazioni Invalsi sulla “fragilità” degli studenti: c’è polemica, interviene anche la Flc-Cgil. Ma potrebbe andare in porto il progetto di FdI di cancellare le prove

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L’iniziativa dell’Invalsi di restituzione alle scuole dei dati relativi alla “fragilità” degli studenti sta provocando non poche polemiche. E’ di poche ore fa una secca presa di posizione della Flc Cgil che sottolinea come in tal modo “ogni studente, identificato attraverso un codice numerico, viene classificato in base ai vari livelli di fragilità determinati dalle prove”.

Obiettivo dell’Invalsi – lo ha spiegato il presidente dell’istituto in una intervista rilasciata al Corriere – è quello di fornire al Ministero i dati necessari per decidere le modalità di distribuzione dei fondi del PNRR destinati a contrastare la dispersione scolastica.
In proposito, però, il segretario generale Francesco Sinopoli non ha dubbi: “Esprimiamo totale contrarietà verso questa scelta. È chiaro che attraverso il PNRR si intende promuovere un uso pervasivo dei test standardizzati che rischiano di diventare lo strumento di riferimento per l’individuazione delle fragilità degli studenti, si tenta così di ridurre in maniera significativa una delle funzioni fondamentali della professionalità docente, la valutazione delle studentesse e degli studenti e si orienta l’attività educativa verso la performance nelle prove INVALSI”.
Ma – sempre secondo Sinopoli – c’è molto di più: “Noi poniamo un serie di interrogativi sulla legittimità dell’intera operazione: in base a quale norma i gestori delle piattaforme del registro elettronico hanno fornito i dati delle studentesse e degli studenti? Le famiglie e gli allievi sono stati informati della collocazione in livelli di fragilità? Quale uso sarà fatto di questi dati? Quale attendibilità può avere, ad esempio, per un ragazzo che frequenta la quinta classe della scuola superiore, il dato delle prove INVALSI effettuate nella classe terza della secondaria di I grado nel 2018?”

Le critiche della Flc-Cgil, insomma, riguardano non solo il metodo ma anche la legittimità dell’operazione (rispetto delle norme sulla privacy, per esempio).
Il sindacato, anzi, mette persino in dubbio l’attendibilità scientifica della rilevazione, tanto che affermare: “Si tratta di una deriva inaccettabile rispetto all’idea di scuola come comunità educativa e alla funzione formativa che dovrebbe connotare la valutazione degli apprendimenti”.

Ma c’è una questione di fondo: come fare allora per distribuire i fondi per la lotta alla dispersione non “a pioggia” ma in modo che servano davvero a sostenere le scuole che ne hanno necessità?
Abbiamo posto la domanda al segretario generale Francesco Sinopoli che afferma: “Secondo noi bisogna individuare le zone del Paese che presentano difficoltà in termini di collocazione territoriale e disagio sociale e poi considerare anche i parametri dell’abbandono, delle bocciature, delle ripetenze”.
“Nel concreto – aggiunge il segretario – è necessario assegnare alle scuole risorse importanti per ridurre il numero di studenti per classe: ci vogliono più docenti, più personale ATA, nuovi laboratori e attività di cittadinanza attiva. E, soprattutto, è necessario un piano pluriennale, non sono sufficienti interventi episodici. E, soprattutto, bisogna smetterla con l’ideologia della dispersione implicita e con la retorica della povertà educativa basata su parametri evanescenti ed arbitrari”.

Va detto che il problema potrebbe essere risolto alla radice già a partire dalle prossime settimane se dovesse andare in porto il progetto di cui hanno parlato esponenti politici di Fratelli d’Italia durante la campagna elettorale (tra gli altri Ella Bucalo, eletta al Senato), progetto che prevede un consistente ridimensionamento del ruolo e delle funzioni dell’Invalsi anche in fatto di rilevazione degli apprendimenti degli alunni.