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Scuola e lavoro. Servono più ITS, per offrire alle aziende personale altamente qualificato

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È partita la ripresa economica post covid e l’Italia del Lavoro è in grande fermento per cogliere tutte le possibilità che il mercato offre di avvio di cantieri, opere e digitalizzazione dei processi e sistemi nelle aziende e nella Pubblica Amministrazione. In questo contesto vengono richieste sempre più figure altamente qualificate e specializzate che le aziende fanno invece fatica a reperire.

Alle aziende mancano figure specializzate 

Quattro lavoratori su dieci sono difficili da reperire, a dirlo sono i dati dell’indagine Excelsior di UnionCamere. Se gli stessi dati nel 2019, quindi prima della Pandemia, rilevavano una mancanza solo di alcune figure specialistiche, adesso la situazione rappresenta una mancanza strutturale di figure professionalizzate.

Secondo quanto riporta La Repubblica, “c’è una forte richiesta nei Servizi , come il turismo dove la domanda è aumentata del 30%. Esiste secondo gli esperti un forte disallineamento tra i percorsi formativi e le reali esigenze delle aziende”. Parliamo di un mercato del lavoro in continua variazione. I dati della ricerca affermano che nei prossimi mesi dei circa 76mila lavoratori e lavoratrici con alta specializzazione, in 18mila riguardano laureati in ingegneria o professioni assimilate (13.720 solo ingegneri).
Ma non sono solo gli Ingegneri a mancare, nelle fabbriche che stanno andando sempre più verso la trasformazione digitale e l’automazione (Industry 4.0), mancano all’appello, informatici, esperti di stampaggio, tornitori, saldatori così come laureati ad indirizzo economico.

Mancano anche operai specializzati e artigiani

Oltre ai professionisti e tecnici specializzati, la carenza riguarda gli artigiani, secondo la Confartigianato mancano ad esempio gli estetisti: “dalle scuole i ragazzi non sono non escono preparati né dal punto di vista tecnico né da quello relativo ai sacrifici che il lavoro richiede”. Ma lo stesso si può dire di falegnami, meccanici, elettricisti.

Per medici e infermieri le difficoltà vengono da lontano, da un sistema a numero chiuso che da tempo sarebbe da riformare. Ma l’indagine Excelsior stima anche un tasso di difficile reperibilità del 70% per i dirigenti, del 55,3% per gli specialisti in informatica, chimica o fisica. L’Italia, secondo i numeri delle ricerche, non si è preparata alla grande trasformazione tecnologica e digitale del lavoro.

Quali possono essere le possibili soluzioni?

Prima di tutto incentivare e allargare l’offerta formativa proposta dagli ITS, gli unici che al momento sono in grado di recepire le richieste del mercato del lavoro e che possono cambiare pelle velocemente per adeguarsi alle esigenze formative di nuove professioni. In Italia sono ancora pochi nonostante il Governo Draghi ci punti molto mentre in Germania formano un milione di lavoratori. 

Per quanto riguarda i percorsi universitari in ingegneria, oggi sembra non siano molto focalizzati sul mondo del lavoro, spesso sono distaccati dalle singole realtà territoriali.

Un forte contributo potrebbe venire anche da parte degli ordini professionali; essendo ben radicati sul territorio fungono da ausilio e congiunzione con l’Università. Gli ordini potrebbero quindi fungere da trade union per colmare proprio il vuoto tra Università e mercato del lavoro.

Una soluzione non facile da trovare, ma aspetto importante sarebbe lavorare per eliminare la distanza tra scuola e il mondo del lavoro, gap che solo parzialmente viene ridotto con i programmi di alternanza scuola lavoro, sempre al centro di polemiche e mai veramente incisivi in questa direzione.

La scuola vista come contesto a tutto tondo, quindi anche genitori e alunni dovrebbero rivedere le scelte dell’orientamento. Anche qui i numeri dicono che chi sceglie le scuole professionali sono ancora troppo pochi rispetto alla reale esigenza di professionalità richiesta dalle aziende.

Un pensiero di riforma della scuola professionale stessa andrebbe almeno affrontata per esempio per portare questi cicli di studio a 5 anni, senza costringere i ragazzi a prendere il diploma da privatisti.

Se la scuola deve fare la sua parte, anche le aziende devono cominciare ad entrare nell’ottica di pagare adeguatamente e in linea con gli standard europei ingegneri e le persone altamente qualificate altrimenti la fuga all’estero continuerà ad essere un’emorragia inarrestabile.