Home Estero Scuola vietata alle studentesse senza velo, cosa sta succedendo in Iran?

Scuola vietata alle studentesse senza velo, cosa sta succedendo in Iran?

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Il codice di abbigliamento, specie per le ragazze, costituisce elemento fondamentale per l’ammissione in classe. Sin dalla fondazione dell’attuale repubblica islamica nel 1979, l’applicazione della morale islamica ha costituito la base della vita pubblica a scuola, attenendo ai dettami della Sunna e della Sharia, leggi religiose in vigore. L’ammissione è dunque vincolata, così come riportato da numerosi osservatori internazionali, all’utilizzo del velo ed alla copertura dei capelli con il fine di aderire ad una condotta accettabile e proporzionata alla tolleranza della morale islamica. Secondo i report recenti, con riferimento ad ONU e UNICEF emessi la scorsa settimana, tale applicazione normativa rende difficoltosa – se non impossibile anche in ambienti da considerarsi laici, liberi e depoliticizzati appieno come la scuola – non solo la parità di sessi, ma l’applicazione del diritto allo studio ed all’accesso a scuola da garantire a livello globale secondo la Carta internazionale dei Diritti del Bambino e dell’Uomo emessa dall’ONU 70 anni fa. La stretta delle autorità iraniane, nonostante le formali richieste della comunità internazionale, si fa sempre più importante a danno delle adolescenti e delle donne che svolgono funzioni accademiche e di docenza anche negli atenei.

Atenei e scuole: legami e discendenze, una questione politica ed ideologica

Il Ministero della Sanità pubblica iraniano, come riportato da Osservatori internazionali di recente, gestisce la quasi totalità delle Facoltà di Medicina e Professioni Sanitarie connesse (97 %) mentre una piccolissima porzione risulta appartenente ad investitori privati (3 %) i quali applicano la morale islamica con maggiore lassismo, anche se i controlli risultano intensificati del +20 % nell’ultimo semestre. Abbas Shirojan, di recente, ha emesso una nota del Ministero, essendone a capo, relativa alla stretta dell’applicazione delle norme islamiche circa l’utilizzo del velo presso gli atenei e le facoltà subordinate alla sua organizzazione, riservandosi il diritto di precludere l’accesso e provvedere all’espulsione delle ragazze che non provvedano ad osservare la normativa in vigore. La morte recente de Mahsa Amini, giovane studentessa condotta in commissariato dalla polizia morale per questione di velo, ha portato la discussione al centro del panorama internazionale; il lato ancora più macabro riguarda i presunti avvelenamenti a danno delle studentesse specie nelle aree nord-occidentali del paese, nelle vicinanze di Tabriz. Almeno 4000 ragazze sono state trasportate in ospedale per presunti danni da intossicazione a Keshan, centro prossimale al confine azero, a nord. Le proteste che vedono le ragazze esporre le spalle in solidarietà ad Amini si tengono in tutto il paese da novembre scorso.

L’hijab come fondamento di civiltà: gli ultimi aggiornamenti per la scuola

“Il velo costituisce e rimane uno dei principi pratici della Repubblica islamica” ha detto il Ministero dell’Interno in una nota emessa ieri, martedì 4 aprile. Pare che quanto accaduto prima di tutto nelle Facoltà di Medicina abbia ricevuto un input dai piani superiori delle Repubblica Islamica. Le autorità hanno inoltre confermato che “non c’è stato e non ci sarà alcun ritiro o tolleranza nei principi e nelle regole religiose e nei valori tradizionali”. È stato inoltre aggiunto che “l’hijab e la castità dovrebbero essere tutelate per rafforzare le fondamenta della famiglia tradizionale”. Intanto proseguono nel Paese le chiusure di centri per servizi e negozi per il mancato rispetto dell’obbligo di dipendenti e clienti; i controlli si sono rafforzati presso scuole, centri di culto, centri commerciali, atenei e sede di associazioni libere, fulcro e motore delle proteste giovanili in corso. Pare inoltre che l’esecutivo non sia affatto disposto, date le recenti e fossili prese di posizione, ad un dialogo con la parte della popolazione in rivolta; gli studenti, pertanto, restano inascoltati e non rappresentati. A rischio, secondo gli osservatori della comunità internazionale, il diritto allo studio nel paese. Le scuole che non si adegueranno alla strategia ferma dei controlli a tappeto rischiano la chiusura o la sospensione delle attività didattiche per ulteriori accertamenti.