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Scuole paritarie, moria continua: 100 istituiti e 12 mila alunni in meno l’anno. Milano perde il “Vittoria Colonna”

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Continua, inesorabile, la chiusura delle scuole paritarie, dove insegnano 55 mila docenti: i dati ufficiali del Miur ci dicono che ogni anno mancano all’appello un centinaio di istituiti, con oltre 12 mila iscritti in meno, la maggior parte dirottati nella statale. Nell’anno scolastico. 2017/2018 gli iscritti alle paritarie erano 12.662 e gli alunni totali 879.158; nel successivo, l’a.s. 2018/2019, le scuole paritarie si erano ridotte a 12.564 e gli allievi frequentanti a 866.805.

La scuola dell’infanzia si conferma il settore educativo in cui si concentra il maggior numero di alunni (oltre il 71%). E anche quello dove l’emorragia è maggiore. Nel 2018/2019 erano 524.031 i bambini distribuiti in 8.957 scuole materne; l’anno prima erano 541.447 i bambini da tre a sei anni distribuiti in 9.066 istituti paritari.

Ma non è una novità: comprese quelle laiche, tra il 2009 e il 2016 le scuole paritarie hanno registrato 135 mila studenti in meno, mentre le scuole chiuse sono state 580. La perdita, quindi, è più o meno sempre quella da oltre un decennio.fina

La lamentela: lo Stato con noi risparmia, ma ci abbandona

Lo Stato per finanziare le scuole paritarie spende oltre 500 milioni di euro l’anno. E i loro gestori continuano a dire che è quello il problema: la scarsità dei finanziamenti pubblici.

“Solo per la scuola dell’Infanzia – ha ricordato qualche giorno fa Luigi Morgano, segretario nazionale della Fism – lo Stato versa poco più di 290 milioni per le nostre scuole frequentate da 450 mila bambini per circa 220 giorni all’anno, fanno più o meno 2 euro al giorno, come si può definirlo un sostegno adeguato?”.

“La distanza fra il costo del bambino nella scuola dell’infanzia statale e nella paritaria fa riflettere: supera di 6.000 nella prima, mentre l’entità di contributo è di meno di 500 euro nella seconda”, ha sottolineato il segretario nazionale della federazione delle scuole materne.

Il resto, per il sostentamento delle scuole paritarie, lo mettono le famiglie. Con “rette” che vanno dai 200-300 euro al mese in su. Molte, però, non ce la fanno più: la crisi avanza e quei soldi servono per altro. E la moria delle paritarie continua.

Paradossalmente, la Legge 62/2000, che ha collocato la scuola paritaria nel sistema d’istruzione nazionale, fermo restando quanto previsto dall’articolo 33, comma 2 della Costituzione, non ha portato bene agli istituti non statali.

Suor Anna Monia Alfieri: non c’è pluralismo

L’ultima paritaria a chiudere è stato l’istituto milanese “Vittoria Colonna”, gestita dal 1896 dalle Figlie del Cuore di Maria, in via Conservatorio.

“Sono passati 120 anni di scelta educativa, dal Nido al Liceo, da parte di Genitori che a Natale, ai loro figli (c’è chi ne ha cinque) regalano le scarpe e una educazione seria, il passaporto per il futuro. Generazioni intere sono state formate come solidi padri e madri di famiglia e anche come responsabili in aziende, in politica, nella società. Gente seria, contribuenti onesti, a volte anche credenti appassionati”, ha scritto – su formiche.net – suor Anna Monia Alfieri, esperta di politiche scolastiche e sostenitrice del costo standard, oltre che componente del Gruppo di lavoro per la definizione dei costi standard per studente in carica per un triennio (2018-2019-2020), ma che dopo il suo insediamento non è stato più convocato.

Quel “costo standard di sostenibilità per allievo, orientato a far sì che la “libera scelta delle scuole da parte dei Genitori” non sia più un terreno di scontro ideologico tra partiti, ma – continua la Alfieri – la procedura trasparente ed efficace per allineare l’Italia ai Paesi civili più avanzati, dove tutte le famiglie, e quindi anche quelle povere, godano degli stessi diritti di accesso all’Istruzione Pubblica, che non può essere unicamente “statale”, pena il venir meno della libertà di scelta, in una pluralità di offerta formativa, espressa dalla Costituzione”.

“La scuola, in estrema sintesi, non riesce ad indebitarsi oltre per essere garanzia di pluralismo a fronte di uno Stato che considera la libertà di scelta educativa un lusso da far pagare alle famiglie. Dunque il gestore getta la spugna”, è l’amara conclusione della Alfieri.