Sindacati e no. Ovvero: dov’è la meglio gioventù?

Pochi giorni fa è stato reso noto l’esito della fase A della mobilità per il prossimo anno scolastico. Molte classi di concorso sono state assaltate come diligenze. Alcune sono state saturate da passaggi di ruolo (primaria verso secondaria di secondo grado, nel caso più tipico).
I neoassunti di molte discipline, ancora una volta, si metteranno in coda e aspetteranno. Non voglio entrare in polemica con i colleghi, non voglio negare i diritti acquisiti di nessuno. Mi chiedo soltanto perché si debbano usare due pesi e due misure: perché si consente a chi ha insegnato per trent’anni in tutt’altro ordine di scuola, di passare, alla vigilia della pensione, a occupare un posto di lavoro completamente diverso, mentre alle “nuove” generazioni si chiede di certificare, documentare, “tirocinare”, di tutto e di più. Per avere poi il diritto di mettersi in coda e aspettare, appunto.

Ma non scrivo questa lettera per parlare della mobilità (so che i sindacati non potranno mai mettersi contro lo zoccolo duro dei vecchi iscritti, e non ho più l’età per fare battaglie perse in partenza). Scrivo per parlare di una questione che mi pare ancora più grave, e ancora più indicativa dello scollamento tra sindacati e forze giovani della scuola (ricordando che i giovani, nell’insegnamento, sono quelli che hanno meno di quarantacinque anni). E lo scrivo per rispondere, idealmente, alla domanda rivoltami ad inizio anno da un sindacalista avvilito che si trovava a parlare davanti a una platea di dieci persone, tutte ultrasessantenni: perché i giovani non si iscrivono al sindacato, oppure vi si iscrivono solo per risolvere problemi burocratici?

Siti specializzati riportano oggi la notizia che le organizzazioni sindacali avrebbero ottenuto una grande vittoria: il MIUR avrebbe limitato la chiamata diretta, e indicherà ai dirigenti di scegliere i docenti secondo titoli certificati rientranti in alcune macro aree: lingue, informatica, BES/sostegno. Ora, io vorrei capire in quale dei mondi possibili questa sarebbe una vittoria per i lavoratori. I sindacalisti sanno che negli ultimi dieci anni sono proliferati diplomifici on line di ogni genere e che praticamente tutti i docenti che sono passati per le GAE sono stati obbligati, pena il vedersi scavalcare da altri colleghi, a pagare questi corsi? (Ne ha parlato anche il collega Luigi Mazza, nei giorni scorsi, con una lettera “La Tecnica della Scuola”). In cosa consisterebbe la vittoria dei lavoratori, nel fare il gioco delle tre carte con il famoso bonus di 500€? (Chissà perché proprio quella cifra, che, guarda caso, corrisponde al costo di uno di questi corsi).

Da un punto di vista più generale, perché proprio quel tipo di competenze? Se un dirigente ha un numero limitato di alunni BES e nessun alunno con handicap, ma ha bisogno di un docente per un progetto sull’educazione ambientale, perché deve valutare un dipendente per cose che non gli servono? Si arriva addirittura al caso ridicolo di un docente di italiano o di scienze motorie valutato per la conoscenza dell’inglese. Quando abbiamo iniziato a pensare che le conoscenze culturali non servano, che si possano chiudere i libri subito dopo la laurea, perché nella scuola conta tutt’altro? Che figura di insegnante immaginano, per il futuro, i nostri sindacati?

Penso che l’escamotage delle aree precostituite sia stato ideato per ovviare ai bandi ad hoc, con i requisiti cuciti addosso al candidato che si intende assumere. Temo però che il rimedio sia peggiore del male. E questo è solo uno degli esempi che si potrebbero fare per spiegare perché i giovani non si sentono difesi né capiti dai sindacati.

Non voglio chiudere questa lettera senza indicare possibili alternative. A me sembra che alcuni problemi potrebbero essere risolti in modo più semplice e più trasparente. Prima di tutto, la formazione dei docenti deve essere affidata alle università pubbliche e statali. I docenti che lo desiderano, possono iscriversi per sostenere esami singoli (cosa che chiunque può fare da anni senza particolari problemi), seguendo un programma simile a quello degli studenti universitari (poi si può pensare che i docenti universitari propongano una bibliografia in parte modificata per consentire una maggiore ricaduta didattica dei contenuti). I docenti non avranno obbligo di frequenza, o l’obbligo sarà limitato, e per quei giorni avranno l’esonero dal servizio. Le scuole indicheranno con anticipo i settori che intendono potenziare e le richieste che faranno ai futuri assunti, in modo che chi vuole ottenere un trasferimento su quel posto abbia il tempo per formarsi un curriculum vero. In questo modo il bonus di 500€ sarebbe speso nel pubblico e per fare vera formazione, non in un inutile accumulo di certificazioni. I criteri di assunzione dovranno essere resi pubblici, così come i curriculum di tutti i candidati. Per le competenze trasversali, come quelle riguardanti i bes, si possono proporre corsi di aggiornamento gratuiti nelle scuole stesse, con i metodi utilizzati finora.

Oltre a questo, aggiungo che sarei favorevole a una rotazione, su base volontaria, degli insegnanti. Nel nostro paese siamo abituati a pensare che il permanere per molti anni nello stesso posto di lavoro sia un valore positivo, un obiettivo da inseguire. Ora che i contratti saranno triennali, perché non sfruttare il lato positivo di questa legge? Perché non incentivare gli insegnanti a spostarsi da una sede ad un altra ogni tre o sei anni? So che molti colleghi salteranno sulle sedie, però penso che ci sarebbero dei vantaggi in questo (ovviamente, dovrebbe trattarsi di scuole nello stesso ambito, non troppo distanti tra loro, affinché la cosa non comporti eccessivi disagi ai docenti). Prima di tutto, non assisteremmo più a scuole di serie A di serie B, con le tipiche migrazioni da una all’altra degli alunni. Avremmo una maggiore equità tra scuole dello stesso tipo. Ci sarebbe un ricambio della didattica e forse in molti casi ci sarebbe minore conflittualità tra colleghi.

Le mie sono proposte imperfette, me ne rendo conto. Possono sollevare mille obiezioni. Ma quali sarebbero le alternative? E, soprattutto, quale idea di insegnante e di insegnamento intendono portare avanti i rappresentati dei lavoratori della scuola?

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