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Studente disabile autistico ammesso alla maturità, i genitori non sono d’accordo e scrivono a Sasso. Ma decide la scuola o la famiglia?

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Uno studente con disabilità viene ammesso agli Esami di Stato della secondaria, ma la famiglia non è d’accordo. E si appella alle istituzioni perché venga fermato per dargli la possibilità di ripetere il quinto anno, poiché il Covid ha compromesso il suo percorso di integrazione e socializzante.  Il fatto ha al centro un giovane 19enne autistico della provincia di Monza. La domanda, però, è la seguente: può la famiglia di un allievo disabile imporre alla scuola se promuovere o fermare il ragazzo? La risposta è negativa, perché la normativa affida questa decisione solo al Consiglio di Classe, quindi ai docenti, naturalmente compresso quello di sostegno, che lo hanno seguito didatticamente durante l’anno scolastico.

Cosa dice la norma

Lo dice la Legge “faro” sulla disabilità, la L. 104/92, che fa riferimento al Pei – il Piano educativo individualizzato – e quindi al team di docenti che lo ha realizzato. E lo ribadisce il decreto legislativo 62 del 13 aprile 2017, che parla di “esclusiva competenza dei docenti del consiglio di classe”.

Non sempre, soprattutto sul finire del percorso scolastico queste decisioni vengono accettate: soprattutto perché dopo la maturità, c’è spesso c’è una fortissima incertezza per il futuro del giovane disabile. E i genitori, non di rado, ritengono di “allontanare il pericolo” mantenendo il più possibile il figlio in un contesto comunque sicuro, gratuito e integrante quale è la scuola.

I danni enormi della pandemia

“La pandemia ha creato danni enormi a nostro figlio – ammette la madre del ragazzo di Monza -, solo in classe quando per lui la relazione è il fulcro del suo sviluppo e della sua crescita personale”.

“Abbiamo chiesto alla scuola di bocciarlo, non ammetterlo agli esami di maturità, per permettergli di cementare le competenze relazionali che stava acquisendo. Ci hanno risposto di no e se non si presenta agli esami, per legge verrà promosso comunque”, ha spiegato la donna all’Ansa.

“La questione di cui porre fulcro è quella dell’inclusione, per i ragazzi con disabilità i percorsi devono essere diversi – ha proseguito la mamma dello studente – I progetti ponte che si stavano attivando, a causa della pandemia si sono arrestati e per mio figlio la fine della scuola significherà diventare invisibile”.

Il Covid ha fatto vivere le avvisaglie, anticipandole di qualche anno, sulla permanenza forzata nelle mura di casa. E il vuoto che in alto numero comporta per un giovane disabile.

L’appello al sottosegretario Sasso

Assieme al marito, la donna ha inviato una lettera al sottosegretario all’Istruzione Rossano Sasso, che ha prontamente risposto.

Nella missiva pubblica la famiglia ha scritto che il ragazzo “ha avuto una frequenza regolare, ma come è facile prefigurare per chi è affetto da disturbo dello spettro autistico, ha molto sofferto in questi due anni, e non ha conseguito gli obiettivi del Pei (piano educativo personalizzato), sia in termini di competenze sia di autonomie e modalità di relazione, che gli sono necessari per poter affrontare la futura fase della sua vita”.

Solo che il giudizio dei docenti non corrisponde. “Riteniamo semplicemente che nostro figlio non abbia conseguito gli obiettivi didattici e inclusivi per l’autonomia”, prosegue la lettera, “stabiliti nel piano educativo individualizzato e ci sentiamo rispondere che non è possibile, norma alla mano, fargli ripetere l’anno”.

Alla famiglia del giovane con autismo non sono piaciuti “i modi e la mancata considerazione, in ottica inclusiva, del percorso di crescita degli alunni con disabilità senza che siano considerati come elementi di disturbo, quasi come dei pacchi che possono essere ‘spediti’ il prima possibile”.