Studenti scarsi in italiano, e in un liceo di Bologna decidono di fare più ore di lezione. Ma siamo sicuri che serva?

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Un’ora di italiano in più ogni settimana per gli studenti delle classi quarte e quinte: è stato deciso del liceo Minghetti di Bologna dove docenti e dirigente scolastico pensano, in questo modo, di migliorare le competenze linguistiche degli studenti.
Anche di recente non sono mancate indagini e ricerche che hanno mostrato le “carenze” linguistiche e matematiche dei giovani e dei meno giovani.
Lo stesso Rapporto Censis presentato alla stampa pochi giorni fa ha fornito un quadro sconfortante della situazione.
I docenti del liceo bolognese sostengono che da diversi anni stanno riscontrando negli studenti carenze significative, qualcuno rileva che questo è dovuto anche al fatto che alle scuole medie si è persa l’abitudine di far scrivere temi e riassunti agli alunni.
I docenti parlano anche di studenti con un lessico povero che, a sua volta, rende più difficile la comprensione di un testo e la conversazione orale.
Già Don Milani, 60 anni fa, aveva capito che le competenze linguistiche sono fondamentali, per poter diventare cittadini a tutti gli effetti e diceva: “Il padrone conosce 1000 parole, tu ne conosci 100. E’ per questo motivo che lui è il padrone”.

Certamente incrementare il tempo dedicato allo studio della lingua italiana può servire, tuttavia c’è da capire se davvero il lessico lo si possa migliorare stando sui banchi di scuola.
Risalgono agli anni 60 gli studi del sociolinguista Basil Bernstein e la sua teoria della cosiddetta “deprivazione verbale” secondo cui le competenze linguistiche si costruiscono in massima parte nei primissimi anni di vita in ambito familiare e quindi, hanno a che fare principalmente, con la classe sociale di appartenenza.
Questo, ovviamente, non significa che la scuola debba limitarsi a osservare quello che accade; ma ci si deve rendere conto che le esperienze non strettamente scolastiche sono assolutamente fondamentali.
E allora bisogna pensare a incrementare le biblioteche pubbliche arricchendole anche con strumenti e materiali non solo librari (videoteche, audioteche, riviste e giornali).
E poi, magari, creare spazi dove i giovani possano incontrarsi per parlare, discutere, confrontarsi.
La scuola non può essere considerata l’unico luogo formativo, bisogna costruire un sistema formativo allargato di cui la miglior cultura socio-pedagogica italiana parla da più di mezzo secolo, senza però essere mai stata presa sul serio nel modo dovuto.