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Troppi bocciati alla secondaria di secondo grado? Forse bisogna migliorare l’orientamento (e non solo)

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Siamo a fine anno e, a scrutini fatti, in molte scuole – stando a quello che leggiamo nei social – si incominciano a tirare le somme.
C’è chi “festeggia” per l’alto numero degli alunni promossi ma c’è anche chi si mostra molto preoccupato per gli esiti non proprio confortanti.
Alcuni casi arrivano anche sulle pagine della stampa nazionale come quello di una scuola della provincia di Lecco dove – in una classe terza – solo uno studente su 3 è stato promosso; ma, ovviamente, fare analisi precise usando dati ancora frammentari e molto parziali sarebbe del tutto fuorviante.
E’ bene quindi attendere i numeri ufficiali e definitivi per formulare considerazioni più attendibili.
Per il momento non ci resta che esprimere qualche osservazione di carattere generale.

Intanto bisognerebbe incominciare ad affrontare seriamente (e scientificamente) il tema dell’orientamento: di recente, come è noto, il Ministro ha deciso di istituire la figura del docente orientatore nella secondaria di secondo grado, ma forse il problema riguarda molto di più la secondaria di primo grado se è vero, come ci dicono da diversi anni i dati del Ministero, che i tassi più elevanti di bocciature e di abbandono scolastico riguardano proprio i primi anni della secondaria di secondo grado.
Cercando, ovviamente, di andare un po’ al di là del vecchio e consolidato criterio per cui a chi “esce” dalla “terza media” con ottimi voti si consiglia il liceo (scientifico o classico a seconda delle inclinazioni di ciascuno), chi esce con risultati intermedi viene indirizzato a un tecnico e a chi “proprio non ce la fa” si suggerisce un professionale e, nei casi più difficili, un corso di formazione regionale.
A pensarci bene non siamo poi così lontani dalla vecchia idea sostenuta con vigore un secolo fa da Giovanni Gentile che riteneva che la formazione liceale dovesse essere riservata solamente ai migliori e cioè a coloro che fossero in grado di accedere successivamente agli studi universitari, in modo da garantire la costruzione della classe dirigente della Nazione.
Certo è che ci sono differenze importanti rispetto a un secolo fa anche perché con la “liberalizzazione” introdotta nel 1969 l’iscrizione ai corsi universitari è consentita ormai – in linea di principio – a tutti gli studenti che abbiano superato l’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo.

Ma chi ancora oggi guarda con nostalgia alla riforma gentiliana farebbe bene a ricordare che quell’impianto non era propriamente ispirato a criteri democratici e universalistici.
Con questo non vogliamo certamente sostenere che si debba eliminare ogni forma di selezione nella scuola (e in particolare nella secondaria di secondo grado), ma intendiamo far osservare che la selezione non può e non deve essere usata semplicemente con lo scopo di accettare e cristallizzare le differenze sociali.
E, forse, bisogna pensare anche a percorsi formativi che siano basati non solo sulle “materie” fanno ricorso alle capacità linguistiche e cognitive ma anche su discipline a attività pratiche, tecniche e laboratoriali.
Ne va del rispetto degli articoli 3 e 34 della nostra Costituzione.