
Sembra proprio intenzionato, il neo presidente Usa, Donald Trump, nel suo discorso di insediamento di stasera e durato 20 minuti, a mettere fine alla norma che consente la cittadinanza statunitense a tutti coloro che nascono in America, il cosiddetto “Jus soli”: “Metteremo fine alla birthright citizenship” e dunque si prevede, dicono gli esperti, un chiarimento al XIV emendamento in modo tale che “in prospettiva, il governo federale non riconoscerà automaticamente la cittadinanza per diritto di nascita ai figli di immigrati clandestini nati negli Stati Uniti”.
La vecchia amministrazione, ha detto ancora (presente al discorso Biden che ha abbassato gli occhi) “non è riuscita a proteggere i nostri magnifici cittadini americani rispettosi della legge, ma ha fornito rifugio e protezione a pericolosi criminali, molti provenienti da prigioni e istituti psichiatrici che sono entrati illegalmente nel nostro paese da tutto il mondo. Abbiamo un governo che ha stanziato finanziamenti illimitati per la difesa dei confini stranieri, ma si rifiuta di difendere i confini americani o, cosa ancora più importante, il suo stesso popolo”.
“L’America ritornerà all’età dell’oro”, dice ancora Trump. “Nel corso della precedente amministrazione sono stati imposti limiti, che saranno rimossi” e non è mancato il riferimento all’Alaska, ritenuta strategica per la sicurezza nazionale.
Fra le altre cose, anche la rimodulazione del solo riconoscimento di due sessi, maschile e femminile che si rifletterà soprattutto nella scuola su cui ha lanciato un breve avvertimento: “Abbiamo un sistema educativo che insegna ai nostri bambini a odiare il nostro Paese. Tutto ciò cambierà da ora in poi”.
Ha pure ringraziato i neri che lo hanno votato: “Ho ascoltato la vostra voce e non vedo l’ora di lavorare con voi. Oggi è anche il giorno di Martin Luther King. Realizzeremo il suo sogno. Voglio ringraziare le persone nere e ispaniche per i vostri voti”.
Sull’immigrazione ha usato toni durissimi: “Oggi firmerò alcuni storici ordini esecutivi e darò vita a una rivoluzione del buon senso. Dichiarerò un’emergenza nazionale al confine meridionale. Rimanderemo milioni di criminali e stranieri là dove appartengono. I cartelli saranno considerati come organizzazioni terroristiche straniere”.
Il senso complessivo del suo discorso è comunque stato quello del rinnovamento: al macero tutto ciò che ha rallentato l’America, che l’ha resa infelice, più debole rispetto al mondo esterno, meno stabile. Con lui, sottolinea Trump, tutto cambierà. Promette insomma una rivoluzione copernicana nel suo Paese e in altre parole la “felicità”, quella che è espressa nella Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America (4 luglio 1776): “tutti gli uomini sono creati uguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, tra questi diritti vi sono la Vita, la Libertà e il perseguimento della Felicità”.
Parole forti e dette con determinazione e che sono piaciute agli americani, tanto che l’hanno votato in modo massiccio, massicciamente sono venuti alla cerimonia di insediamento e massicciamente applaudono gli uomini più ricchi del mondo che attorniano questo 47^ presidente, al quale hanno elargito svariati miliardi (sic) di dollari per la campagna elettorale.
E Trump ha promesso e alla cerimonia ribadito che con lui inizia l’età dell’oro dell’America e che smantellerà tutto ciò che crea insicurezza, ansia, povertà, ingiustizia nel popolo amaricano: “Invece di tassare i nostri cittadini, imporremo dazi sui Paesi stranieri per arricchire i nostri cittadini”.
E chiosa: “Il declino dell’America è finito oggi”
L’America prima di tutto: uno slogan che ai nazionalisti piace e in un mondo in cui le concorrenze, insieme alle guerre, cantano litanie simili, sentirselo ripete ogni giorno dal candidato a diventare l’uomo più potente della terra fa piacere, inorgoglisce.
E se poi si aggiunge un po’ di demagogia, l’esaltazione aumenta: “Sono stato salvato da Dio per una ragione, per rendere l’America di nuovo grande”. In altre parole, Dio lo vuole, come cantavano i cavalieri templari prima di ogni battaglia e che avevano pure lo spillone con scritto “Gott mit uns”.