Categorie: Handicap

Un passo avanti: arriva il sordo preverbale

Il testo integrale dell’articolo 1 della nuova legge così recita: “In tutto il sistema normativo italiano il termine “sordomuto”, come definito nel secondo comma dell’articolo 1 della legge 26 maggio 1970, n. 381, viene sostituito con l’espressione “sordo o sordo preverbale”; pertanto a tutti gli effetti di legge devono considerarsi “sordi o sordi preverbali” i cittadini italiani affetti da “sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva”.
La normativa che oggi viene sostituita è il secondo comma della legge 26 maggio 1970, n 381 che così definiva la sordità: “agli effetti della presente legge si considera sordomuto il minorato sensoriale dell’udito affetto da sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva che gli abbia impedito il normale apprendimento del linguaggio parlato, purchè la sordità non sia di natura esclusivamente psichica o dipendente da causa di guerra, di lavoro o di servizio”.
La proposta di legge era stata depositata in Parlamento nel lontano 1996, su iniziativa dei senatori Galdi, Smuraglia, Brandani, D’Alessandro Prisco, Ganeri, Squarcialupi e De Luca. Oggi è diventata legge dello Stato, dopo la sua approvazione in sede deliberante, da parte della Commissione lavoro del Senato.
 “Si tratta – come ha detto il sottosegretario al welfare Grazia Sestini – di una modifica attesa dalle associazioni delle persone affette da questa tipologia di disabilità e di un ulteriore passo avanti compiuto dal nostro Paese verso una sempre migliore tutela e verso la completa e sostanziale equiparazione di tutti i cittadini”.
La definizione è stata considerata impropria sia dal punto di vista medico-fisiologico che da quello culturale.
Secondo il relatore della legge non esiste alcuna connessione fisico-patologica fra sordità e mutismo. Il mutismo nel sordo, in genere, non può collegarsi a nessuna alterazione o menomazione organica dell’apparato vocale, né originaria né derivata, restando potenzialmente intatte nel bambino anche sordo profondo le potenzialità meramente fisiologiche, cosí come quelle neurofunzionali, del suo apparato vocale, ancorché la parola non possa da lui essere acquisita per via normale.
“L’incapacità di acquisire il linguaggio per via normale discende semplicemente dall’impossibilità sensoriale di percepire i suoni e quindi di riprodurli. Tanto é vero che con le tecniche specialistiche oggi esistenti anche i sordi profondi, se tempestivamente e correttamente educati tramite una adeguata riabilitazione, possono acquisire il linguaggio verbale”.
Il termine “sordomuto” non solo é improprio sul piano clinico, ma è anche poco funzionale all’interpretazione della norma. Non sono la sordità e/o il mutismo a qualificare sul piano giuridico la norma, ma la sordità esistente prima dell’apprendimento della parola.
Quindi l’espressione “sordità preverbale” qualifica meglio la norma e sottolinea le potenzialità dell’individuo.
La sostituzione terminologica proposta dovrebbe estendersi anche alle norme di procedura civile e penale, in quanto la loro finalità é essenzialmente quella di garantire giusta assistenza e considerazione a chi ha difficoltà di capire e di farsi capire tramite il linguaggio parlato.
Chi è diventato sordo in età adulta, dopo quindi l’acquisizione del linguaggio, per cause di guerra e di lavoro, è già protetto dalla normativa generale sull’invalidità civile.
Calogero Virzì

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