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Una scuola senza classi è possibile?

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L’AESPI segue da tempo con interesse e rispetto le iniziative  e le proposte del Gruppo di Firenze, ed intrattiene con esso una regolare corrispondenza che costituisce per l’associazione un proficuo scambio di vedute.

Anche in questo caso abbiamo trovato la proposta interessante, proficua, e rispondente ad esigenze legittime. L’idea di sostituire il concetto di classe con quello di “corso disciplinare” e di concludere il corso delle Superiori con un serie di valutazioni  oggettive che comprendano anche le insufficienze, fornendo un quadro veritiero delle conoscenze e delle capacità degli studenti, pare idoneo a combattere la tendenza da tempo in atto ad attribuire valutazioni approssimative e “generalistiche”, cioè miranti a raggiungere, tramite una serie di contrattazioni interne al consiglio di classe, quella sufficienza che permette di superare gli scogli. Ma così – pare di capire – le valutazioni autentiche si uniformano e in sostanza scompaiono come le vacche nella notte hegeliana.

Ciò detto e riconosciuto, bisogna vedere se il gioco vale la candela, se cioè il guadagno sarebbe maggiore della perdita.

Teniamo conto, prima di tutto, del fatto che quello di “classe” è un concetto complesso, dotato di almeno tre livelli. Quello di luogo fisico (“aula”), quello di gruppo umano e quello di grado di studi. Questi tre livelli interagiscono reciprocamente, pertanto un rimodellamento del sistema attuale produrrebbe conseguenze di varia natura. Ci poniamo e poniamo in proposito delle domande, così come vengono, senza ordine gerarchico. Lo studente che nella disciplina X risulta insufficiente mentre nelle altre ha un profitto adeguato, cosa fa? Abbandona il gruppo e l’aula e si trasferisce nel gruppo che segue il corso inferiore di quella disciplina? E se risulta invece particolarmente dotato scatta al superiore? Avremmo così dei gruppi classe che continuamente si riplasmano, con i possibili effetti che seguono: a) effetto-spaesamento dello studente; b) difficoltà di ordine disciplinare, in quanto le problematiche di gruppo non potrebbero essere affrontate come tali; c) difficoltà logistiche nel caso in cui una buona parte della classe, risultando insufficiente nella materia X, dovrebbe migrare in un corso inferiore, id est in un’aula molto più grande: sarà questa disponibile?

Proseguendo: essendo il gruppo soggetto a continui cambiamenti, che cosa viene attribuito formalmente al docente all’inizio dell’a. s.? Non le classi, che non esisterebbero, non l’intero corso, essendo troppo numeroso.

Ancora: alla fine dei corsi avremmo per diversi alunni una valutazione finale fatta (ci si passi la battuta) col Black & Decker: solida in alcune discipline, carente o carentissima in altre. Anche perché la consapevolezza che in ogni modo vi sarebbe una certificazione nelle discipline da lui più coltivate o congeniali indurrebbe lo studente a trascurare del tutto o quasi quelle che non gli interessano. Avremmo così uomini e donne con una preparazione fortemente parcellizzata e settoriale, con danno alla dimensione formativa della scuola e decisa sterzata verso la professionalizzazione, importante ma non certo esclusiva.

Insomma la nostra preoccupazione è che la proposta del Gruppo di Firenze, che vuole mettere capo a una valutazione rispondente alla realtà e quindi, in sostanza, a una scuola più seria, rischia a nostro avviso di favorire una “scuola liquida”, o meglio più liquida di come è in questo momento. Non più programmi, insegnanti senza le classi, e infine non più le classi. Una scuola liquida nella società liquida. Laddove la classe, gruppo strutturato con ruoli complementari, costituisce un mattone non si dice solidissimo (oggi cosa lo è ?) ma sufficientemente solido per la costruzione di un edificio complesso.

Naturalmente AESPI non pretende di avere ragione, ma propone una serie di osservazioni che possono servire a precisare i termini del dibattito.

Alfonso Indelicato

AESPI (Associazione Scuola e Professionalità Insegnante)