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Francia: “Le scuole sono patrimonio nostro, non dei mercati”

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In Francia tira aria di cambiamento. “Le changement, c’est maintenant” dicono i cugini francesi che domenica prossima vanno al voto. Il 15 aprile si sono tenuti gli ultimi comizi, di Sarkozy il presidente uscente, e di Hollande, il candidato dato per favorito, che hanno riempito le due maggiori piazze di Parigi.
Hollande ha fatto un discorso convincente, dalla prospettiva ampia, sia storicamente sia verso il futuro. Ha promesso “cambiamento”, richiamando i valori storici su cui i francesi hanno costruito la loro identità di popolo e di Nazione, e i valori dei “padri fondatori” che hanno costruito l’Europa, nella quale le generazioni precedenti hanno creduto. Basta, dice Hollande, con una Europa debole e dominata dai mercati e dalla finanza. E’ il momento della “Renaissance”. Se eletto, ha promesso di rinegoziare il recente Trattato di bilancio, non ancora ratificato, per ri-orientare questa Europa che ha perso ogni idealità, si è indebolita, si è allontanata dai popoli e piegata al mercato.
“E’ a noi che appartiene il patrimonio delle nostre scuole, dei nostri servizi pubblici, delle nostre università. Sono un bene comune che non deve appartenere ai mercati”. E poi quel richiamo forte all’eguaglianza che è “l’anima della Repubblica”, e la promessa di una riforma fiscale in cui ognuno sarà chiamato a contribuire in funzione dei suoi capitali e dei suoi guadagni. “Il cambiamento è adesso” è lo slogan scelto, quanto mai efficace per suscitare speranze e voglia di cambiare. Il discorso si chiude con “viva la Repubblica, viva la Francia” e il comizio termina con l’inno nazionale della Marsigliese.
Il confronto sorge spontaneo con la nostra Italia, con i personaggi che dovrebbero salvarla, con quelli che l’hanno rovinata, con le ricette messe in atto, col divario abissale fra il Paese reale e il mondo della politica. Tra chi paga e chi sperpera.
Da noi non si intravede la possibilità di un cambiamento Nessuno ha mai parlato di “rinegoziazione”. Ogni riforma si fa perché “ce lo chiede l’Europa”. Dalle pensioni al lavoro. Perfino la valutazione del sistema scolastico e i progetti messi in campo sono stati più volte presentati come una sollecitazione dell’Europa, e non come un necessario sviluppo dell’autonomia. Ce la farà l’Italia a salvarsi?