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Analfabeti funzionali, in Italia 1 su 3. Ma chi sono?

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Ogni anno, l’8 settembre viene celebrata la Giornata Internazionale dell’alfabetizzazione, intesa come strumento che mira a combattere la povertà, la mortalità infantile e la disuguaglianza di genere.

A tal proposito, come riporta l’AGI, si ricorda la Dichiarazione di Persepoli del 1975, riconosciuta dall’UNESCO: “L’alfabetizzazione non consiste solo nel saper leggere, scrivere e fare di conto, ma è un contributo all’emancipazione di ogni essere umano e al suo completo sviluppo. Fornisce gli strumenti per acquisire la capacità critica nei confronti della società in cui viviamo, stimola l’iniziativa per sviluppare progetti che possano agire sul mondo e trasformarlo, e fornisce le capacità per vivere le relazioni umane. L’alfabetizzazione non è fine a se stessa, è un diritto fondamentale dell’uomo”.
Il tema è presente anche nell’Agenda del 2030 per lo sviluppo Sostenibile sottoscritto nel 2015 dai 193 Paesi membri dell’ONU.

Come vedremo, l’alfabetizzazione non deve essere osservata soltanto da un punto di vista, perché non renderebbe veritiera la visione di un Paese.

Ad esempio, secondo i dati dell’UNESCO, in Italia, l’alfabetizzazione sfiorerebbe il 100%nel 2011 il tasso di alfabetizzazione nella popolazione adulta corrispondeva al 98,8% e al 99,8% per i giovani tra i 15 e i 24 anni. La disparità di genere è nulla o quasi nulla nelle tre fasce di popolazione. L’indice di parità di genere (GPI) è pari a 1 nei giovani, a 0,99 negli adulti e a 0,98 nella popolazione anziana (dai 65 anni in poi).

Ma le cose stanno realmente così?

Se andiamo a rileggere il concetto di alfabetizzazione della Dichiarazione di Persepoli, in effetti le cose cambierebbero parecchio per l’Italia.
In base a tale definizione, riportando l’analisi di AGI, per definire un profilo in base alle capacità di portare a termine con successo le attività della vita quotidiana, sono stati fissati 6 livelli: il livello inferiore a 1 e il livello 1 (low skilled) indicano competenze modestissime, il livello 3 è l’elemento minimo per un inserimento positivo nella società e nel lavoro, e i livelli 4 e 5 (high skilled) indicano una piena padronanza di competenze.

Incrociando i livelli appena elencati con i dati Ocse-Piaac pubblicata nel 2016, si arriva alla conclusione che in Italia il 28% delle persone tra i 16 e i 65 anni appartiene ai primi due livelli: sono i cosiddetti analfabeti funzionali, ovvero adulti che sanno leggere e scrivere, ma che non sono in grado di usare queste capacità nella vita quotidiana e che spesso non comprendono i linguaggi delle nuove tecnologie.
L’analfabeta funzionale, ad esempio, potrebbe avere difficoltà a reperire il numero di telefono in un sito web, giusto per dare l’idea.
Di conseguenza, se adesso andiamo confrontare questi dati con quelli di altri 33 nazioni europee, l’Italia si colloca al penultimo posto in Europa, raggiungendo appunto il 28% di analfabeti funzionali.

AGI traccia anche un profilo dettagliato dell’analfabeta funzionale italiano: ha più di 55 anni anni, non è diplomato ed è disoccupato, oppure è molto giovane non studia né lavora, può avere genitori con un titolo di studio di secondaria inferiore, e può aver passato l’adolescenza in una famiglia con meno di 25 libri.

“A parte i possibili effetti dell’invecchiamento, si legge nel Rapporto nazionale sulle competenze degli adulti, il legame tra competenze ed età è sicuramente influenzato da diversi fattori quali la carriera scolastica, la transizione scuola-lavoro, la carriera lavorativa oltreché lo stile di vita e le attività quotidiane”.

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