Home I lettori ci scrivono Burnout docenti, a quando il riconoscimento del lavoro usurante?

Burnout docenti, a quando il riconoscimento del lavoro usurante?

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Mi fa piacere (tristemente piacere) scoprire, attraverso la lettura di alcun articoli di seri studiosi, che ci si è ricordati di quanto stressante e usurante sia il lavoro (missione) dell’insegnante.

Ultimamente, infatti, in un’intervista, il medico Lodolo D’Oria, specialista nel campo dei lavori ‘probanti’, sottolineava, con ineccepibili argomentazione e chiari dati, il rischio di grave logoramento psichico e fisico a cui è sottoposto il docente nel compiere il suo lavoro esponeva, perfettamente cause, gli effetti e le estreme conseguenze di questa lenta decadenza e irriducibile consunzione a cui (spesso senza accorgersene) sono sottoposti gli educatori.

Del resto tutte le persone competenti che gravitano attorno al mondo scolastico hanno piena contezza del burnout a cui si è esposti. Peccato, però, che sulla Gazzetta ufficiale l’insegnamento non risulti tra i lavori usuranti.

In fondo, per tutti, è meglio da un lato elogiare l’opera del docente, fondamentale per la vita della società, dall’altro rimanere volutamente defilati dal problema o, addirittura, chiusi, ipocritamente, nell’idea di un lavoro di solo 18 ore, con tutto il pomeriggio libero. Una vera, inaudita e vergognosa menzogna! Si sa bene che ciò non corrisponde a verità, ma per opportunità e quieto vivere (non dei docenti però) è meglio non negarla platealmente, anzi è meglio non parlarne proprio e confermare tacitamente inveterati e falsi luoghi comuni.

Invero (se vogliamo essere sinceri) recentemente l’OCSE di Pisa è ritornata in modo dettagliato sull’argomento, indicando i punti più sfibranti e snervanti del duro lavoro di docente.

A seguire altri interventi di validi psicologi hanno confermato la pericolosità di questo lavoro

Anche l’A.N.I.E.F. ha rilanciato, in questi giorni, il riconoscimento del burnout per i docenti. Docenti sempre più vecchi (beata legge Fornero!) costretti a gestire ragazzi “sempre più giovani”.

Infine lo stesso Ministero dell’Istruzione e del Merito ha preso atto della situazione, riconoscendo il disagio e lo smarrimento profondo dei docenti, sempre più impaludati e dominati da esaurimenti, tensioni, stress fortissimi e disperazioni senza via d’uscita e il bisogno, quindi, per loro di un supporto psicologico (ma basta uno psicologo per risolvere tutti i complessi problemi degli ‘operatori scolastici?) e di una maggiore e concreata rivalutazione morale (recuperare lo ‘status quo’ degli insegnanti) ed economica (non i pochi spiccioli dei rinnovati contratti) insieme ad interventi di garanzia riguardo sicurezza e ‘incolumità’ sul lavoro.

Il timore è che tutto questo si rivolga in una sterile esaltazione del ruolo del docente, una ‘pacca sulla spalla’, una voce di incoraggiamento. Nulla più (in vista di elezioni importanti !).

Speriamo sia un timore infondato, anche perché i motivi di inquietudine per i professori sembrano persistere (a volte aumentare): le insidie dell’Intelligenza Artificiale (opportunità o minaccia?), la violenza di certi alunni (chiamiamoli così) sui docenti, l’eccessiva e ineducata presenza di alcuni genitori, supponenti e arroganti verso i docenti (e preoccupati soltanto della promozione dei loro figlioli, non della loro educazione), la ‘schiavitù’ del registro elettronico, gli innumerevoli obblighi burocratici imposti dall’ “alto” (estranei, per loro natura, all’insegnamento), i gravosi impegni formativi (o quasi) ‘proposti’ dal P.R.R.N, l’ipotesi (assurda) di un insegnante-sostegno (cattedra inclusiva), i nuovi (o riciclati) metodi educativi che tendono a ridurre l’educatore ad un semplice ‘facilitatore educativo’, le continue e compulsive riforme che destabilizzano la scuola invece di migliorarla e, infine, la presenza massiccia di psicologi, proprio loro, (così fragili questi ragazzi), una presenza tale da trasformare, a volte, le scuole in un luogo di cura.

Speriamo che questa rinnovate attenzione sulla ‘misera’ ‘professione docente’ (considerata in realtà missione o volontariato, non, come si dovrebbe, una vera professione), queste luci accese sulla nostra gravosa condizione non siano ‘fuochi fatui’ ma arrivino a smuovere la coscienza della società intera e che tale apparente interesse verso di noi non si decomponga, presto, nella consueta indifferenza.

Ma non facciamoci troppi illusioni (siamo disingannati!), eviteremo ulteriori depressioni.

Andrea Ceriani

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