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Concorso docente: pensare di accertare le competenze con “test a crocette” è un errore gravissimo, non lo diciamo noi lo sostengono i pedagogisti

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Nella giornata di ieri abbiamo dato notizia di una “svista” contenuta nel DL approvato Governo nella parte in cui si parla delle prove a scelta multipla per accertare le competenze dei candidati ai concorsi per docenti.
Avevamo scritto che tali prove (e questo lo sa anche uno studentello al primo anno di scienze della formazione) non possono in nessun caso accertare “competenze pedagogiche” come invece pretenderebbe il legislatore.
Qualche nostro lettore, commentando sui social, si è anche chiesto (retoricamente) chi avesse scritto tale articolo (nostro, non del decreto).
Non abbiamo replicato perché non ci sembra molto elegante “battibeccare” con questo o quel lettore, ma oggi ritorniamo sull’argomento portando a sostegno della nostra osservazione quanto scrive sulla sua bacheca Facebook Cristiano Corsini, docente ordinario di pedagogia sperimentare presso l’Università di Roma Tre.

“Secondo la bozza sul reclutamento docenti – scrive Corsini – le ‘competenze’ in ambito pedagogico, psicopedagogico e didattico-metodologico verranno valutate attraverso una prova a scelta multipla. Se questo venisse confermato nel testo definitivo ci troveremmo di fronte a un errore gravissimo (anche se non si tratterebbe di una novità). Le prove a scelta multipla non possono rilevare competenze. Le competenze hanno dimensioni cognitive, attive, dinamiche, sociali, emotive, metacognitive e situate tra loro interconnesse. Questo significa che se vogliamo valutarle seriamente (ma qui da noi la situazione è sempre grave, mai seria) dobbiamo ricorrere a diverse prove e a prove diverse, ovvero più prove di differenti tipologie (non solo test a scelta multipla)”.

Prosegue il pedagogista: “Si dirà: ma se abbiamo migliaia di candidature, come facciamo a selezionare? Se vogliamo selezionare spendendo poco (le proverbiali nozze coi fichi secchi), allora accontentiamoci di rilevare la preparazione rispetto a determinate aree di contenuti, ovvero ad alcune conoscenze, ma evitiamo di tirare in ballo le competenze”.

Ma qui si pone una domanda: come mai in un decreto legge viene scritta una tale corbelleria?
La risposta di Corsini è lapidaria: “Semplice: ci siamo arrivati scegliendo di credere che prove come quelle somministrate dall’INVALSI misurino competenze di singoli individui e non la diffusione di alcune conoscenze e qualche abilità all’interno di fasce di popolazione. Un errore gravissimo, che comporta conseguenze negative di vario tipo. Tra queste, quelle sulla qualità e sull’efficacia di una didattica che viene apertamente incoraggiata ad assumere come finalità versioni caricaturali delle competenze (libri tipo “palestra per le prove INVALSI”, piuttosto diffusi nelle nostre scuole, rappresentano tempo sottratto all’insegnamento e all’apprendimento). Non stupisce dunque che questa scelta eserciti la sua influenza non solo sul lavoro svolto da migliaia di insegnanti, ma anche sul loro reclutamento. Per valutare, misurare è importante. Ma, per misurare, occorre senso della misura”.
E conclude ironicamente: “Se interessa, nel mio libro La valutazione che educa approfondisco questo gravissimo errore, mettendone in evidenza le radici e le conseguenze dal punto di vista scientifico, pedagogico e educativo. Sennò, fa niente”.

E noi concludiamo: se si vuole discutere seriamente di valutazione e di accertamento di conoscenze e di competenze è bene disporre almeno dei “fondamentali”; se si ritiene inutile studiare l’argomento e “continuare-come-abbiamo- sempre-fatto-che-così-è-andata-benissimo” non è un gran problema, ma forse si potrebbe almeno evitare di dileggiare chi cerca di studiare e approfondire l’argomento.