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Diplomati magistrale dimenticati da tutti: a settembre in 50 mila ripartiranno dal via

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C’erano una volta i maestri con diploma magistrale: grazie al loro titolo abilitante all’insegnamento facevano domanda di supplenze, si inserivano nelle Graduatorie, prima permanenti poi ad esaurimento, svolgevano il loro servizio per un numero spesso continuativo di anni, infine entravano in ruolo. Oggi, invece, questo piccolo esercito di diplomati negli anni Ottanta, Novanta e all’inizio del nuovo secolo, fino a al 2002, non solo si ritrova condannato dal Consiglio di Stato a rimanere nel “girone” dei precari: negli ultimi mesi ha dovuto anche subire l’onta del declassamento in seconda fascia d’istituto (e breve in prima fascia delle nuove Graduatorie provinciali per le supplenze).

Gomito a gomito con i giovani laureati

Per i diplomati magistrale questo significa, di fatto, ripartire quasi dall’inizio della carriera. Come se negli ultimi tre lustri non avessero mai insegnato: decine di migliaia di precari, anche con 10-15 anni di supplenze alle spalle, tutti con l’anagrafe passato da tempo negli “anta”, a settembre si ritroveranno nelle Gps gomito a gomito con i neo laureati in Scienze delle Formazione primaria.

Perché a quest’ultimi il ministero di Viale Trastevere ha deciso di valutare gli anni di corso come delle annualità di servizio (12 punti per ognuno) e con tanto di bonus finale per la laurea.

I più audaci, certamente, potranno tentare la carta del concorso ordinario, ma consapevoli di avere terminato gli studi da troppo tempo per essere “concorrenziali” con i giovani laureati.

Usb Scuola: bastava assumerli con le regole comunitarie

A scattare una foto di questo desolante epilogo è stata l’Usb Scuola: “Dopo anni di lotte per il riconoscimento del valore abilitante del diploma e l’inserimento in GaE, la storia dei docenti della scuola di primo grado si conclude con un finale vergognoso ed imbarazzante, privo di tutele a causa di una assenza di volontà politica” del ministero dell’Istruzione.

Tutto questo non sarebbe accaduto se solo lo Stato avesse dato l’assenso al “semplice riconoscimento dei diritti di tutti per porre fine alla rivalità tra i diplomati magistrali e i laureati in Scienze della formazione primaria” o se solo il legislatore avesse applicato “le regole comunitarie sull’illegale reiterazione dei contratti di lavoro oltre i 36 mesi di servizio”, sostiene il sindacato di base.

La scena kafkiana degli immessi in ruolo e licenziati

L’apice dell’umiliazione è stata raggiunta però dai circa 10 mila maestri con diploma magistrale immessi in ruolo, con tanto di anno di prova svolto e superato: come dei protagonisti di una scena kafkiana, si sono ritrovati d’improvviso licenziati, senza stipendio e privati d’ogni certezza professionale ed economica.

“Proprio a ridosso dell’estate”, scrive l’Usb, l’amministrazione ha risolto “i contratti senza neppure il preavviso dovuto lasciando così maestre e maestri, che da anni prestano servizio nelle scuole, privi anche del riconoscimento dell’indennità di disoccupazione. Se altri licenziamenti vengono sospesi tramite apposito decreto, non così per i maestri e le maestre diplomati magistrali che hanno superato un anno di prova e da anni insegnano in continuità nelle proprie classi”.

Loro senza stipendio, gli alunni senza continuità didattica

Per i maestri con diploma magistrale il futuro è cupo. “A settembre 2020 alcuni di loro accetteranno una supplenza dalle graduatorie di istituto, cambiando così scuola e alunni in attesa di entrare di ruolo nuovamente dalle graduatorie dell’ultimo concorso straordinario, probabilmente in una provincia diversa da quella in cui hanno insegnato e insegneranno nel prossimo anno scolastico”.

Il sindacato, quindi, reputa intollerabile “tale umiliazione verso maestri e maestre che rimarrebbero ancora in balia di nuove sentenze discriminatorie, mentre occorrono solo serie soluzioni politiche da parte del Miur perché gli attuali contratti rescissi costituiscono un problema economico per i maestri e le maestre, ma si rifletteranno a settembre anche sul diritto alla continuità didattico-educativa”.