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Dislessia e disgrafia: consigli didattici utili per iniziare a insegnare a leggere e scrivere [INTERVISTA]

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Dopo aver parlato con Alessandra Luci, psicologa, psicoterapeuta e logopedista sui problemi generali della dislessia e della disgrafia (ricordiamo che si tratta di disturbi specifici di apprendimento che si evidenziano proprio nei primissimi anni della scuola primaria) proviamo a fornire qualche suggerimento didattico.

Dottoressa Luci, cosa si può fare per i bambini dislessici e disgrafici?

Innanzitutto, scendendo nello specifico del metodo di insegnamento-apprendimento della letto-scrittura, è importante sottolineare che la letteratura scientifica più accreditata sconsiglia il metodo globale, essendo dimostrato che ritarda l’acquisizione di una adeguata fluenza e correttezza di lettura.

Qual è l’alternativa migliore?

Per andare incontro al bisogno educativo speciale dell’alunno con DSA si potrà utilizzare il metodo fono-sillabico, oppure quello puramente sillabico. Nel quale, ogni consonante viene illustrata come derivante dalla forma di un particolare oggetto o elemento della natura, l’iniziale della parola che lo denota essendo somigliante a quella lettera, ad es.  la montagna per la emme (in stampato!).
Le consonanti vengono presentate secondo affinità grafiche, così da poter evidenziare le differenze. Saranno inizialmente la P e la B; la D e la R; poi la L e la F, la M e la N e così via. Si inizia con quelle che si scrivono da sinistra, si procede con le altre scritte da destra (C G S), lasciando per ultime la Q e l’H (sempre in stampato!).

E’ vero che la scrittura in stampatello può addirittura predisporre alla dislessia o alla disgrafia?

No. Al contrario lo stampato maiuscolo, in quanto tipologia di scrittura di tipo bilineare, nel quale tutte le lettere hanno la medesima altezza, iniziando dal rigo superiore e terminando in quello inferiore, risulta sia più semplice da discriminare visivamente (in lettura), sia più semplice da eseguire a livello grafo-motorio (in scrittura) rispetto allo stampato minuscolo ed al corsivo, che sono tipologie di scrittura quadrilineari, articolate, quindi, su tre bande spaziali, in cui le linee di demarcazione dello spazio sono quattro, in quanto vi è una banda centrale delle lettere quali la a o la c, una banda superiore in cui si spingono lettere quali la l o la b, una banda inferiore occupata da lettere come la g o la q.

In effetti anche le Linee Guida del Ministero sembrano sposare questa proposta…

Sì, nelle Linee Guida si dice proprio che “…sarebbe auspicabile iniziare con lo stampato maiuscolo, la forma di scrittura percettivamente più semplice, mentre lo stampato minuscolo, oltre che il corsivo, sono forme di scrittura che risultano percettivamente molto più complesse”.

E ancora: “si dovrebbe poi evitare di presentare al bambino una medesima lettera espressa graficamente in più caratteri (stampato minuscolo, stampato maiuscolo, corsivo minuscolo, corsivo maiuscolo), ma è opportuno soffermarsi su una soltanto di queste modalità fino a che l’alunno non abbia acquisito una sicura e stabile rappresentazione mentale della forma di quella lettera”.

Ma lei, sulla base della sua esperienza e delle sue conoscenze, cosa ne pensa?

Professionalmente, ed in linea con quanto suggerito da altri colleghi ed associazioni che si occupano di DSA, consiglio l’introduzione del corsivo in seconda classe di scuola primaria, una volta che il bambino abbia stabilizzato ed automatizzato la corrispondenza fonema-grafema in stampato. Qualora poi il bambino in questione non riesca ad apprendere efficientemente (per velocità ed intelligibilità) la grafia in corsivo ed in presenza di diagnosi di disgrafia, in accordo con quanto stabilito dalla Legge 170/2010, consiglio, dalla terza classe, la dispensa dall’utilizzazione contemporanea dei quattro caratteri (stampatello maiuscolo, stampatello minuscolo, corsivo minuscolo, corsivo maiuscolo) lasciando utilizzare il carattere di scrittura preferito e/o, come strumento compensativo, l’utilizzazione del computer con programma di videoscrittura.

Un’ultima domanda: la ricerca sui disturbi dell’apprendimento quanto può essere utile anche per  tutti gli altri?

Moltissimo, perché le metodologie didattiche adatte per i bambini con DSA sono valide per ogni bambino.
In altre parole: se una metodologia è raccomandata perché efficace ed efficiente nel promuovere l’apprendimento in un bambino che ha un disturbo ad apprendere, la stessa promuoverà l’apprendimento efficacemente ed efficientemente anche in un bambino che tale disturbo non lo ha, mentre, ahimè, non è vero il contrario!