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Docenti da equiparare ai medici? Ovviamente no, a cominciare da vaccini e sistemi di protezione differenti

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Il personale sanitario e quello scolastico non sono equiparabili: il primo lavora in strutture sanitarie, magari nelle corsie degli ospedali, e comunque è a contatto con persone che spesso presentano patologie, non così per insegnanti, personale Ata, dirigenti scolastici.

Peraltro, se la scuola è considerata un “luogo sicuro”, allora perché il suo personale necessiterebbe di un obbligo vaccinale? L’incongruenza è evidente. Così come indicare la scuola come luogo sicuro ma nel contempo dire che per chi sta in classe l’esposizione potenziale al rischio contagio rimane alta.

Chi vorrebbe un obbligo vaccinale anche per il personale della scuola dovrebbe allora equiparare anche dispositivi di protezione, vaccini, indennità di rischio

Anche chi sostiene l’obbligo vaccinale per gli insegnanti in realtà non mette sullo stesso piano il personale sanitario e quello scolastico: medici e docenti, infatti, andrebbero equiparati anche come “indennità di rischio” (“una equa indennità” in caso di danni), vaccino somministrato (Pfizer, e lo farebbero già domani almeno il 95% degli insegnanti), mascherine FFp2 (e magari… stipendi). Per non parlare dei dispositivi di prevenzione, anche quelli più elementari come appunto le mascherine maggiormente protettive – che fino ad oggi sono state acquistate a proprie spese dai docenti – o un semplice schermo di vetro o plexigas sulla cattedra come lo hanno anche buona parte dei commercianti: ma allo Stato costano qualche euro e siccome la scuola è “un luogo sicuro”…

Ma non vi sono categorie di lavoratori più esposte a contatti rispetto ai docenti? E le scuole non sono considerate “luoghi sicuri”?

Obbligo di vaccinarsi? Allora perché no, solo ovviamente per fare degli esempi, per i dipendenti delle poste, per i commercianti, per chi lavora nei supermercati o nella ristorazione, per operai in catene di montaggio di grandi fabbriche? Categorie che vedono giornalmente più gente che i docenti in aula (e peraltro si continua a dire che la scuola è un luogo sicuro, anche se pure recentemente diversi virologi hanno esortato alla prudenza e l’infettivologo Massimo Galli ha evidenziato che almeno bisognerebbe mettere in piedi nelle scuole programmi efficaci per lo screening).

Vi sono categorie di lavoratori più esposte a rischi (per sé e per gli altri, ma nessuno ha mai pensato di chiedere per loro l’obbligo del vaccino, a conferma che gli insegnanti sono ormai per “consuetudine” oggetto di attenzione di tutti e talvolta “facili bersagli”) che non i docenti, a meno che non si ammetta che con le varianti la “vicinanza” con gli alunni (adesso più “esposti” di prima) sia pericolosa, ma soprattutto per gli insegnanti e non al contrario fare quasi pensare ai docenti come “untori” (ma ciò cozzerebbe con il refrain delle scuole sicure e con “si deve chiudere, ma… riaprire le scuole”, che poi spesso non hanno quasi mai chiuso del tutto, almeno per alcune tipologie di insegnanti).

Le opinioni dei lettori: il vaccino è ancora in fase sperimentale. Altri evidenziano che se fosse obbligatorio allora si dovrebbe potere scegliere il tipo di vaccino

Anche fra i lettori c’è chi, commentando un articolo sulla eventuale possibilità di rendere obbligatoria la vaccinazione per il personale della scuola, fa notare che tra l’altro il vaccino è ancora in via sperimentale e ciò determina che sarebbero le autorità che lo volessero rendere obbligatorio a doversene assumere la responsabilità e non ovviamente un consenso firmato dal vaccinando.

Siamo ancora in fase di sperimentazione clinica. Ho firmato un questionario nel quale mi sono assunta tutte le responsabilità”, scrive una docente. Le fa eco un’altra insegnante: “la sperimentazione deve essere volontaria e consapevole”; un docente aggiunge: “è stata solo autorizzata la sperimentazione che terminerà tra due anni”.

Ma ci sono anche tanti che fanno notare che il problema consiste in caso di obbligo nell’avere il diritto di scegliere; leggiamo ad esempio: “dal momento che lo Stato vuole una firma che lo liberi da ogni responsabilità su eventuali conseguenze che il vaccino potrebbe causare, pretendo di scegliere anche se fosse a mie spese”. E una lettrice arriva a dire: “voglio essere obbligata potendo scegliere quale vaccino fare!”.

Si deve poter scegliere il vaccino però! Nessuno non vuole fare il vaccino, si vuole solo la possibilità di scelta su quale farmaco farsi fare!”, viene ribadito.

Per tanti il problema è AstraZeneca (ora denominato “Vaxzevia”), che suscita dubbi e perplessità che finiscono per ritardare l’adesione alla vaccinazione

Perché poi è inutile nascondersi dietro a un dito: il problema per chi vuole vaccinarsi ma chiede di scegliere è abbastanza noto ormai. “Imporre un obbligo solo per smaltire un vaccino rifiutato da molti Paesi! La maggior parte dei docenti che non ha aderito alla campagna vaccinale lo ha fatto non perché non crede nei vaccini ma perché rifiuta l’Astrazeneca”, sottolinea una lettrice.

Perplessità vengono avanzate anche in relazione alle “varianti” (oltre alla copertura vaccinale e tralasciando la polemica sulla sicurezza). Ad esempio sulla cosiddetta “variante sudafricana”, testato il vaccino Oxford/AstraZeneca sembrerebbe che i risultati non siano certo incoraggianti: il vaccino in questione garantisce un’efficacia del 10% (dati di circa un mese e mezzo fa). Mentre viene ampiamente sostenuto che anche AstraZeneca sia efficace contro la “variante inglese” (e per quella cosiddetta “brasiliana”?).

Il vaccino anti Covid AstraZeneca intanto cambia nome in “Vaxzevria”. In seguito alla richiesta dell’azienda farmaceutica anglo-svedese, la nuova denominazione, con il “bugiardino” aggiornato riportante le caratteristiche del farmaco, è presente sul sito dell’Ema, l’Agenzia europea del farmaco. Pare che anche la confezione potrebbe presentare un aspetto diverso. La novità più importante, però, riguarda il foglietto illustrativo del vaccino aggiornato per quanto attiene agli effetti collaterali, con i possibili e rari casi di eventi avversi tromboembolici.

Per la somministrazione di AstraZeneca vari Paesi (non solo europei) pongono limiti di età o prorogano la sospensione in attesa di approfondimenti

Intanto, la Germania ha deciso di bloccare le somministrazioni del farmaco sui soggetti al di sotto dei 60 anni, restano pertanto confermate le vaccinazioni con questo prodotto soltanto relative alle persone dai 60 anni in su e che abbiano in ogni caso concordato l’uso di AstraZeneca con il proprio medico. La decisione è stata presa dal ministro della Sanità insieme ai rappresentanti dei Laender, dopo la diffusione di nuovi dati da parte del Robert Koch-Institut, responsabile per il controllo e la prevenzione delle malattie infettive in Germania. Ricordiamo che la Francia aveva già deciso dopo la “riammissione” del vaccino di AstraZeneca di limitarlo agli over 55 (decisioni simili, legate a fasce d’età, sono state prese anche da Canada, Olanda, Finlandia, Svezia e Islanda) e che Danimarca e Norvegia ne mantengono la sospensione in attesa di verifiche, analisi e dati più approfonditi. Controcorrente la Spagna rispetto al limite di età (riprendendo però quello che l’Ema aveva suggerito prima della momentanea sospensione di AstraZeneca): leggiamo infatti su huffingtonpost.it del 31 marzo che la Spagna “almeno per adesso continuerà a vaccinare con Astrazeneca solo le persone fino ai 65 anni. L’unica eccezione è per lavoratori essenziali come sanitari o forze dell’ordine (in Spagna quindi gli insegnanti, in tale contesto,non vengono annoverati come categoria di “lavoratori essenziali”, n.d.R.) che eventualmente prestino ancora servizio dopo i 65 anni e per i quali si continuerà ad usare lo stesso Astrazeneca”.

A scanso di equivoci: io sono per le vaccinazioni, purché ci sia trasparenza e consapevolezza, anche per non fornire terreno fertile ai “no vax” contrari a tutte le vaccinazioni, bisogna offrire ai cittadini elementi per valutare con cognizione di causa. Invece di “sparate” su licenziabilità (o “allontanamento” e sospensione dallo stipendio) degli insegnanti che non sono convinti di dire “signorsì” ma che farebbero anche domani qualsiasi altro vaccino che non sia quello per il quale, a torto o a ragione, hanno perso fiducia e nutrono forti dubbi.

Insomma, senza fare nomi, i farmacologi facciano i farmacologi e si occupino meno dei docenti (magari se proprio vogliono lo facciano dei loro colleghi universitari se hanno anche una cattedra di docenza in un Ateneo), i politici faranno i politici, magari guardando meno alla “geopolitica” nel caso soprattutto sanitario.

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