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Emergenza energetica e difficoltà di approvvigionamento, come si comportano gli istituti scolastici d’Europa?

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L’attuale conflitto in corso alle porte del Vecchio Continente ha ridimensionato fortemente il concetto di  commodities ed il relativo utilizzo strategico al fine di mantenere in vita i sistemi produttivi, tra cui si collocano, a livello culturale e formativo, scuole, atenei ed istituzioni. Queste, specie per via degli scarsi ed inefficienti interventi di manutenzione ordinaria dei sistemi di distribuzione di energia ed utenze, sono soggette alla maggiore dispersione e costo di utilizzo, che talvolta, come accade nel Regno Unito ed Irlanda, incide pesantemente sul budget privato degli istituti, L’accesso alle rinnovabili ed all’energia verde ed il distaccamento dalle fonti fossili rappresenterebbe per le scuole un’ancora di salvezza. I problemi sono molteplici, espressi anche dai recenti rapporti Eurydice in riferimento allo stato degli edifici scolastici d’Europa: scarsa manutenzione e compatibilità con nuovi sistemi, generale vetustà dei luoghi per nuovi impianti, scarsi finanziamenti ed interesse politico. Ma non è così per alcuni e singolari casi virtuosi.

Le rinnovabili a scuola: come e dove

Al continente europeo, presso le realtà più nordiche e maggiormente attente alle tematiche ambientali, ecologiche ed energetiche, possiamo attribuire una valutazione sufficiente in termini di utilizzo delle rinnovabili in classe, sia come fattiva fonte energetica, sia come sensibilizzazione delle nuove generazioni in materia di sostenibilità. In Svezia e Finlandia, Islanda e Norvegia gli edifici pubblici, tra cui presidi ospedalieri, scuole e sedi amministrative alimentati da rinnovabili, secondo uno studio recente che ha coinvolto anche le realtà attinenti allo Spazio Economico Europeo, ammontano al 52 % del totale, nonostante la presenza, specie in Norvegia di giacimenti di gas naturale consistenti. Per l’Europa continentale la configurazione dei nuovi impianti è difficoltosa se non impossibile per via della vetustà severa dei plessi scolastici, ricavati talvolta dal cambio della destinazione d’uso di ambienti adibiti ad altro scopo (31 %).

Il caso virtuoso dell’Emilia: un’istantanea di un’Italia sì all’avanguardia, ma obsoleta

V’è un caso, legato alle nuove esigenze di consumo legate ad impatto ambientale e carenza di risorse, di assoluta virtuosità: si tratta dell’Istituto Superiore Meucci di Carpi, in provincia di Modena, che lo scorso 20 gennaio ha inaugurato un impianto di distribuzione del calore alimentato ad idrogeno; permetterebbe di risparmiare l’emissione di 717 tonnellate di CO2, pari a quelle emesse da circa 600 auto nel corso di un anno. Il costo, pari a 350.000 euro circa, ha permesso l’installazione di un funzionale e complementare sistema di pannelli fotovoltaici con annesso sistema di stoccaggio per l’utilizzo dell’energia accumulata anche d’inverno. L’Istituto in oggetto, in ogni caso, resta un caso isolato: nuova costruzione, interesse politico e delle famiglie finalizzato alla realizzazione dell’impianto. Occorre però tenere in considerazione che, come reso noto negli articoli di recente pubblicati su La Tecnica (https://www.tecnicadellascuola.it/edilizia-scolastica-e-pnrr-giuliani-a-radio-1-le-scuole-non-sono-pronte-a-gestire-questi-interventi-necessario-un-supporto-tecnico), i nostri plessi scolastici risultano assai vetusti se non obsoleti, con reali difficoltà di configurazione e posa in opera dei tanto innovativi impianti, spesso in contrasto con la configurazione degli edifici, i quali, per il 60 % sono stati realizzati oltre mezzo secolo fa con impianti termici e di distribuzione elettrica ad elevata dispersione e standard.