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Festa 25 aprile, è arrivato il tempo della memoria condivisa: perché non è una festa di parte ma di tutti e per tutti

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Il 25 aprile non è ancora per tutti gli italiani una Festa di Liberazione, cioè fondativa della storia della nostra Repubblica.

Non è cioè ancora per tutti una Festa, una memoria condivisa, come lo è per la Grande Guerra.

Basta dare un’occhiata alle bibliografie, comprese le memorialistiche, per capire che di strada, forse, ce n’è da fare. E le scaramucce anche di questi giorni di certo non aiutano.

Sì, sono note le contraddizioni che hanno segnato quella che da Claudio Pavone (1991) in poi è stata chiamata “guerra civile”, cioè la drammatica stagione dall’8 settembre del 1943, cioè dall’armistizio e dal cambio di alleanze, sino al 25 aprile del 1945, cioè alla data simbolo della liberazione di Milano e delle grandi città del nord dai nazifascisti, con la resa dei tedeschi.

Ho citato apposta gli anni perché ho già avuto modo di verificare che i dati certi di quelle vicende non sono ancora patrimonio comune, anzitutto in termini di conoscenze. Cioè si conosce la storia per frammenti. Forse anche perché, sino a pochi anni fa, i programmi scolastici delle terze medie e delle quinte superiori arrivavano a mala pena alla seconda guerra mondiale.

Dire, ad esempio, che la ricorrenza del 25 aprile è la pietra angolare della nascita della nostra Repubblica non è ancora per tutti scontato. Quasi a rimarcare che la memoria di fondo del nostro Paese (o Patria, o Nazione, o Repubblica) non è ancora in grado di riconoscere nei valori della libertà e della democrazia liberale il cuore pulsante della nostra storia.

Eppure, sono grazie a questi valori se ancora oggi qualcuno li può contestare, o chiedere di ridiscutere. E questo è il grande pregio della democrazia liberale, come ritroviamo nei primi dodici articoli della nostra Carta Costituzionale.

L’altra grande data simbolo della nostra storia rimanda ancora al mese di aprile, ma il giorno è il 18, e l’anno è il 1948.

Si tratta delle elezioni che portarono, a sorpresa, De Gasperi e la DC alla responsabilità di governo, e quindi alla scelta atlantica, cioè occidentale, secondo quella divisione del mondo in sfere di influenza che fu concordata dai Paesi vincitori nella Conferenza di Yalta, in Crimea, dal 4 all’11 febbraio del 1945. Cioè poche settimane prima della nostra Liberazione.

Forse, per capire meglio quella stagione, andrebbe ricordato anche lo storico viaggio di De Gasperi negli Usa. Siamo il 3 gennaio del 1947, ed il leader trentino, con il “pretesto” di una conferenza organizzata da “Time”, volò in America.

A bordo di un quadrimotore, dopo una sosta alle Bermuda, il 5 gennaio l’aereo atterrò a Washington. Era la prima volta che De Gasperi faceva un viaggio fuori dall’Italia da presidente del Consiglio non come nemico ma come “quasi alleato”. Tuttavia, l’invito ad andare negli Stati Uniti non era arrivato dal governo americano, ma dal direttore della rivista “Time”, Henry Luce, che aveva organizzato un convegno a Cleveland dal titolo “Cosa si aspetta il mondo dagli Stati Uniti”. E De Gasperi aveva intuito l’importanza dell’occasione. La stessa intuizione che lui concretizzò in questi termini: che il valore di una politica interna deriva dalla politica estera, e non viceversa. Il viaggio negli USA si concluse il 15 gennaio, e il ritorno a Roma il 17. Come ammise Nenni, allora ministro degli esteri, De Gasperi “tornò cambiato”. E le conseguenze si videro nei mesi successivi, con la fine prima del governo del CLN, e poi con la svolta del 1948, cioè con la maggioranza assoluta alla DC.

Dal 25 aprile del 1945 al 18 aprile del 1948 si gettarono dunque le basi per la nascita della nostra Repubblica, con la nuova Carta Costituzionale entrata in vigore il 1° gennaio 1948.

La Festa di Liberazione, quindi, si può dire, in modo condiviso, che aprì la strada alla nostra storia repubblicana, ad una storia che sarà condivisa, per la sinistra storica, in particolare dopo la caduta del Muro di Berlino, nel 1989.

Ora, vista la nascita del primo governo a guida di un’erede del MSI, cioè di quella destra che si è rifatta storicamente alla parte sconfitta del 25 aprile, credo sia arrivato il momento del riconoscimento di una eredità comune, cioè di una storia che, un po’, ha anche “fatto gli italiani”. Al di là delle contraddizioni che ben conosciamo.

È cioè arrivato il tempo della memoria condivisa.

Tutti sappiamo, dicevo, vedendo la storiografia, anche le contraddizioni di quegli anni drammatici, ma la cosa che anzitutto tutti dovremmo sapere e sentire è che il 25 aprile non è una Festa di una parte, ma di tutti e per tutti.

Perché da quella Festa sono nate le matrici della nostra Costituzione del 1948 ed i valori che hanno consentito al nostro Paese di essere tra i Paesi più avanzati oggi al mondo, nonostante i problemi di cui discutiamo ogni giorno.