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Il calo demografico avrà conseguenze importanti su tutto il mondo del lavoro; per affrontarlo non basterà diminuire gli alunni per classe

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La crisi demografica avrà conseguenze importanti non solo sul sistema scolastico ma anche sul mercato del lavoro: “Fra vent’anni – sostiene Fulvio Fammoni riportando i dati di una ricerca della Fondazione Giuseppe Di Vittorio di cui è presidente – avremo 6,8 milioni di persone in età dal lavoro in meno rispetto ad oggi”.

In pratica avremo un calo del 18,2% rispetto ad oggi, percentuale persino superiore al calo demografico previsto; e questo proprio perché nel frattempo si registrerà un aumento degli over 64 e una diminuzione degli under 15.
Già negli ultimi due anni le persone in età da lavoro sono calate di circa 600 mila unità.
“D’altronde – sottolinea Fammoni – la difficoltà nel trovare manodopera che alcune imprese sollevano, oltre che essere basata su salari e condizioni di lavoro che molte persone non accettano più, è in parte importante correlata anche a questo notevole calo di persone in età di lavoro”

In pratica avremo un calo del 18,2% rispetto ad oggi, percentuale persino superiore al calo demografico previsto; e questo proprio perché nel frattempo si registrerà un aumento degli over 64 e una diminuzione degli under 15.
Già negli ultimi due anni le persone in età da lavoro sono calate di circa 600 mila unità.
“D’altronde – sottolinea Fammoni – la difficoltà nel trovare manodopera che alcune imprese sollevano, oltre che essere basata su salari e condizioni di lavoro che molte persone non accettano più, è in parte importante correlata anche a questo notevole calo di persone in età di lavoro”
Senza dimenticare che “mediamente ogni anno circa 100 mila persone emigrano dall’Italia verso l’estero, in cerca di un salario migliore ma anche di poter svolgere il lavoro per il quale si sono formati e che in Italia raramente gli viene proposto. Si tratta per circa un terzo di giovani in età compresa tra 25 e i 34 anni e con un’alta percentuale di laureati o con titolo di studio superiore”.
Tutto questo significa che avremo una percentuale di persone che lavorano sempre inferiore, mentre aumenterà la quota di persone in pensione o che comunque non potranno contribuire alla crescita del PIL del Paese.

La caduta delle nascite (nel 2021 siamo scesi sotto le 400 mila unità) – aggiunge ancora il presidente della Fondazione “è legata, oltre che all’andamento demografico della popolazione, a molti altri fattori tra cui mancate politiche di conciliazione, scarsità di servizi e concreti interventi a sostegno della natalità, ma la sua forte accelerazione va analizzata anche con un approccio diverso da quello tradizionale”.
“L’aggravarsi di scenari sanitari, economici e sociali –
spiega Fammoni – ha sempre giocato un ruolo fondamentale nelle scelte delle persone, provocando picchi particolarmente negativi di natalità. Si accentuano elementi di sfiducia verso il futuro di cui come è noto l’occupazione, è un elemento fondamentale. Gli interventi quindi devono contemporaneamente avere caratteristiche di immediatezza e di strutturalità. Se per gli interventi strutturali le politiche necessarie oggettivamente producono effetti sul lungo periodo, nell’immediato si può concretamente agire sul trend del calo demografico intervenendo sulle condizioni di lavoro, sulla precarietà, sui salari e sul regime di orari”.

Affrontare il problema del calo demografico concentrandosi sulla possibilità di ridurre il numero degli alunni per classe potrebbe insomma rivelarsi a lungo termine una mossa sbagliata o perlomeno insufficiente.
Secondo la Fondazione Giuseppe Di Vittorio il tema è molto serio e va affrontato in modo sistemico e strutturale.