Home I lettori ci scrivono Il libro nero della Didattica a distanza

Il libro nero della Didattica a distanza

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Il momento è grave e l’emergenza sanitaria, rispetto alla quale però, giorno dopo giorno, scopriamo l’insufficienza tutta umana nell’affrontarla, ci dovrebbe portare a far spallucce di fronte alla ben nota sfacciataggine, insipienza, disonestà dei nostri politici.
Li conosciamo bene: le facce cambiano, ma i vizi sono gli stessi di sempre, quelli che portarono un nostro grande intellettuale a dedicare un omaggio a Ferruccio Parri, in occasione della sua morte, intitolandolo “Un volto nobile tra tanti ceffi ignobili”.
Anche oggi siamo circondati da “ceffi ignobili” che, ad esempio, osano proporre una sorta di sanatoria per tutti quei datori di lavoro che hanno costretto i propri addetti a lavorare senza protezioni di sicurezza per poi, il giorno dopo, affermare di essere stati fraintesi. Altri “ceffi” sembrano meno ignobili, ma soltanto perché maneggiano argomenti che, diciamo la verità, ben pochi considerano essenziali.

Voglio esprimere tutto il disagio che mi ha colto quando ho visto l’attuale Ministro dell’Istruzione annunciare l’approvazione dell’ultimo decreto concernente la scuola. Lungi da me ogni personalismo: sono consapevole che i singoli non sono che figurine fungibili, semplici espressioni di un sistema ben coeso.

Non giudico quindi la persona Azzolina, che non conosco, ma protesto per la sua figura pubblica. Anzi, dirò meglio, per la sua figuraccia pubblica. L’abbiamo sentita tutti ripetere ossessivamente la parola “scenari” nella trasmissione di Fazio domenica sera, insistere in modo ridicolo sul “doppio finale” possibile per l’anno scolastico in corso, difendere l’indifendibile e sostenere la regolarità di quest’anno così anomalo.

Ci vuole poca testa e tanta sfacciataggine per sostenere ciò che ha detto Azzolina.

Laddove ci aspetteremmo sobrietà, una dolente riflessione sull’insufficienza della scuola italiana – insufficiente “in presenza” figuriamoci “a distanza” –  un pacato e sentito ringraziamento  a tutto il personale che si è impegnato a mantenere i contatti con gli studenti e che comunque ha continuato a lavorare, cosa troviamo? Parole, parole, parole per giunta piuttosto sgangherate e poco appropriate. La ministra non si è assunta nessun impegno: ha individuato come problema “atavico” quello delle “classi pollaio”, ha ignorato altri aspetti gravi, come il precariato eretto a sistema (se tutto va così andremo verso il 25% di precari nel prossimo anno scolastico), i bassi stipendi dei lavoratori della scuola che, di fatto, umiliano chi lavora in questo settore, il mancato rinnovo contrattuale, le condizioni fatiscenti dell’edilizia scolastica e, soprattutto, l’emergenza educativa. La ministra ha anche chiesto scusa per il mancato aggiornamento delle graduatorie, addebitandolo alla precaria informatizzazione del Paese.

Chiedo scusa ai precari se quest’anno non riusciamo ad aggiornare le graduatorie d’istituto. Ciò è dovuto a procedure vetuste e alla mancata digitalizzazione del Paese”.

Subito dopo ha affermato che la didattica a distanza (su cui molto c’è da discutere dal punto di vista didattico-pedagogico) “non può essere uno strumento opzionale; in un momento di emergenza, ci sta permettendo di concludere l’anno scolastico. Quindi, non renderla più opzionale ma chiave di volta per il sistema educativo del momento significa dare dignità a tutti gli insegnanti che hanno fatto tantissimo. Li incito a lavorare di più da qui alla fine dell’anno scolastico”.
Per il Ministro un milione e seicentomila studenti che NON POSSONO aver accesso alla didattica a distanza perché privi di mezzi (e non saranno i circa 80 milioni di euro ora stanziati per ovviare al digital divide a mutare immediatamente la situazione) non contano quindi nulla? Il fatto che il Ministero non si sia fatto carico della formazione del personale conta ancor meno; che la buona volontà dei singoli sia l’unico fattore che tiene in piedi il castello di carte della “didattica a distanza” è, per il ministro, irrilevante.

Stiano attenti i docenti: Azzolina li incita a lavorare di più e la didattica a distanza diviene obbligatoria per decreto. Che il 59% dei docenti abbia più di cinquant’anni vuol dir poco per Azzolina. La quale ignora anche i dati ISTAT, come si legge in un articolo di Repubblica: “Negli anni 2018-2019, il 12,3% dei ragazzi tra 6 e 17 anni (850 mila) non ha un computer o un tablet a casa e la quota raggiunge quasi un quinto nel Mezzogiorno (circa 470 mila). Il 57% lo deve condividere con la famiglia. In questi casi meno della metà dei familiari dispone di un pc da utilizzare” .

Inoltre, il 41,9% dei minori vive in una situazione abitativa di sovraffollamento. Ma chi se ne frega? L’anno scolastico si concluderà normalmente, la “didattica a distanza” è la “chiave di volta” dell’insegnamento e gli unici giustificati per il fatto di non essere in grado di ovviare alle “procedure vetuste”, costruendo una procedura informatica che consenta l’aggiornamento delle graduatorie in pochi mesi penso lavorino per il Ministero dell’Istruzione.

In ogni caso, la Ministra sa come sbrigarsela: chiede scusa e poi “parla a nome di tutti i precari” che non credo l’abbiano scelta come portavoce. Insomma, un pasticcio ignobile in un Paese in cui le procedure informatiche debbono essere padroneggiate dall’oggi al domani da insegnanti e studenti mentre gli unici autorizzati ad ignorarle sono i burocrati ed i tecnici ministeriali.

Sarebbe auspicabile che anche i docenti costruissero una “vetrina” che, a differenza delle “buone pratiche” collezionate in Viale Trastevere, raccogliesse testimonianze dalla scuola reale: se la ministra propina ai telespettatori la scuola che non c’è, bisogna che qualcun altro racconti come stanno veramente le cose.

Giovanna Lo Presti
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