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La direttrice d’orchestra Venezi e la proposta di istituire l’albo dei critici professionisti per limitare l’impazzimento dell’opinione social

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Questa volta è toccato a Beatrice Venezi, bravissima direttrice d’orchestra, nuovo consigliere del ministero della cultura.
È toccato a lei lasciarsi prendere dalla facile parola. In sintesi, vorrebbe istituire una sorta di albo per la professione di critico professionista, dopo un corso di formazione, per limitare l’impazzimento della libera opinione dovuto ai social.
Insomma, un albo professionale per critici certificati con tanto di titolo di studio da esibire nei dibattiti sui social. Come se la finalità degli albi professionali fosse questa, di mettere fine al libero dibattito.

Dopo il carico residuale, l’umiliazione come terapia pedagogica, il reddito di cittadinanza solo in presenza dell’obbligo scolastico, ecc., ecco una nuova uscita. Quasi, quella della Venezi, di cui ricordo i due bellissimi libri di invito alla musica classica, editi da UTET negli ultimi due anni, una riscoperta del vecchio Minculpop, cioè il ministero della cultura popolare di antica memoria, con annessa censura e confino e olio di ricino. Credo non se ne sia accorta, della implicazione. Perché la libertà non va imbavagliata, ma lasciata alla verifica della logica della non contraddizione, cioè dell’elenchos socratico. Quindi del dialogo, anche polemico.

Del resto, non è sempre facile saper distinguere tra libertà e libero arbitrio. L’abbiamo compreso con le polemiche sui vaccini. Così va in democrazia, mentre sono i regimi che la temono e la combattono. Il rischio cioè della libertà, anche fuori misura, come si vede nei social, va corso, è un rischio che ha una faccia salutare, perché spinge alla verifica, cioè alla domanda di verità: “ma davvero le cose stanno così?”. Mentre la scuola ed il mondo della formazione sono chiamati a proporre insieme ai contenuti un metodo, per l’applicazione dell’elenchos, i social non hanno vincoli, come in passato le vecchie osterie, i centri culturali, i partiti politici ecc..

Nessuno in passato si è segnato, visto, si diceva un tempo, che gli italiani si sentono tutti commissari della nazionale, di istituire corsi per i tifosi che pretendano di esprimere opinioni certificate sul calcio.
Viva il dialogo libero, anche polemico, sapendo che polemos rimanda allo scontro, al conflitto, ovviamente si spera sempre solo verbale. Insomma, la pratica del dia-logo libero, dove a dominare è o dovrebbe essere il logos, cioè la ragione universale, è la forma prima di reciproco rispetto personale.

Sta poi a ciascuno cercare di seguire il logos (“ascoltando non me, ma il logos”), nel fluire della vita, cioè della ricerca del vero, del buono, del giusto, dando pienezza alla domanda di senso della vita, quello che ci dà il sapore che non si accontenta mai della mera sopravvivenza. La politica, dunque, non può imbavagliare questa ricerca, pretendendo di certificarla con un corsetto. La politica è chiamata a garantirne, nonostante tutto e tutti, gli spazi della ricerca, quindi della libertà.

Sarà poi la pratica della vita stessa che ci condurrà con mano, scoprendo un po’ alla volta, che la verità al dunque è sempre criterio di se stessa, oltre le nostre inevitabili opinioni, certezze, convinzioni.
È il metodo della libertà, il cuore della nostra modernità democratica.