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La lingua dell’emarginazione

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I due studiosi, riporta internazionale.it, reclutano quarantadue famiglie con figli tra i 7 e i 13 mesi: tredici sono famiglie di professionisti, dieci sono di classe media, tredici sono famiglie operaie, sei sono così povere da godere dell’assistenza sociale.

Per i due anni e mezzo successivi, gli psicologi visitano le case una volta al mese e registrano un’ora di quel che si dice. Alla fine, dispongono di oltre 1.300 ore di conversazione casuale. Scoprono che sì, tutte le famiglie accudiscono bene i propri figli, ma che i genitori più abbienti parlano con loro molto di più. Scoprono inoltre che tra l’86% e il 98% del vocabolario di cui i bimbi dispongono all’età di tre anni deriva dal lessico familiare (qui una sintesi dello studio).

Perché le madri più disagiate non parlano coi figli? Certo: sono stanche e oberate ma, soprattutto, nessuno gli ha mai detto quanto è importante.

I due studiosi calcolano fra l’altro che entro i quattro anni d’età, un bambino povero possa aver sentito trenta milioni di parole in meno di un bambino abbiente della stessa età.

E non solo: il linguaggio delle famiglie abbienti è più ricco di aggettivi e verbi al passato, comprende più conversazioni su argomenti proposti dai bambini e spesso comprende parole di incoraggiamento. Gran parte dei discorsi delle classi più povere, invece, ha carattere disciplinare: non fare questo!

 

 

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Il deficit linguistico, si legge su interbazionale.it, passa di generazione in generazione e sembra segnare l’inizio di un divario tra figli di famiglie abbienti e figli di famiglie povere che poi si allarga negli anni.

A raccogliere questo studio è il sindaco di Providence, Angel Taveras, che governa una città dove il disagio economico è diffuso. E allora fa partire un progetto nel 2014 che funzione nel modo seguente: i piccoli vengono muniti di un minuscolo strumento (Lena: Language Environment Analysis), che registra e riconosce parole e turni di conversazione. Gli assistenti sociali misurano i risultati e ne discutono con i genitori. Li Incoraggiano a parlare, a spegnere la tv e a leggere libri ai piccoli.

I risultati a livello cognitivo, ovviamente, si vedranno quando tutti i piccoletti cominceranno ad andare a scuola. Per ora gli assistenti sociali stanno rilevando un significativo aumento delle conversazioni.

In ogni caso, scrive sempre l’internazione.it, l’idea è interessante per diversi motivi: parte dal presupposto che il possesso del linguaggio sia un fattore determinante per lo sviluppo cognitivo. È un intervento precoce. Integra una tecnologia semplice con il fattore umano. Punta sulle famiglie (e sulle madri) sostenendole invece di colpevolizzarle. Ha un approccio empirico, e si propone di ottenere grandi cambiamenti attraverso piccoli, misurabili miglioramenti quotidianI.