Home Politica scolastica La Nato chiede all’Italia di aumentare la spesa militare del 2%, proprio...

La Nato chiede all’Italia di aumentare la spesa militare del 2%, proprio mentre s’accorpano centinaia di scuole. Per Schlein e Bonaccini (Pd) priorità capovolte

CONDIVIDI

Il Partito democratico mette nel mirino il Governo per le scelte sbagliate che premiano settori come la Difesa e lasciano sempre più indietro la Scuola e la Sanità. Non le manda a dire Elly Schlein, segretaria del Pd: partecipando alla trasmissione ‘Otto e mezzo’, su La7, Schlein ha detto che arrivare al 2% della spesa militare, come chiede la Nato, “non è la priorità”, visto che in questo momento anche Sanità o Scuola sono sotto finanziati.

Inizialmente, alla domanda sul 2% della spesa militare sul Pil da raggiungere entro l’arco di tempo indicato dalla Nato, Schlein ha inizialmente risposto in modo evasivo: “Quando saremo al Governo ce ne occuperemo”.

Quando Massimo Giannini, direttore della Stampa, presente in studio ha contestato la risposta, affermando che su questo punto “non è chiara, e questo è un limite della sua segreteria”, la segretaria del Pd ha replicato in modo secco: “Questo non lo accetto”.

Infine, alla ulteriore domanda di Lilli Gruber, la segretaria Pd ha risposto: “Continuerei a pensare che non è la priorità, spendiamo 28 miliardi nella Difesa e abbiamo carenze su Scuola e Sanità“.

Per la scuola, i miliardi spesi ogni anno sono oltre 70(pari al 4,1% del Pil ed in netta prevalenza per gli stipendi del personale, quasi 1,3 milioni di docenti, Ata, presidi e altre professionalità): rispetto agli altri Paesi europei a noi vicini (4,9%), il gap sulla spesa per l’Istruzione nazionale si mantiene sul punto percentuale scarso a nostro sfavore.

Il no dell’Emilia Romagna

Sulla stessa lunghezza d’onda si pongono Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna, e Paola Salomoni, assessora regionale all’Istruzione: “La scuola non ha bisogno di tagli, ma di investimenti. E i territori vanno valorizzati, non penalizzati. Per questo continueremo a dare battaglia, e non da soli, per dire no al dimensionamento della rete scolastica voluto dal Governo”: una riduzione di scuole autonome che fa seguito a quella molto più corposo (spazzò via alcune migliaia di istituti autonomi) prodotto dall’ultimo Esecutivo guidato da Silvio Berlusconi, con Mariastella Gelmini a campo del ministero dell’Istruzione.

Secondo quanto previsto dallo schema di decreto del governo, in Emilia-Romagna il taglio previsto sarà di 20 autonomie scolastiche in tre anni. Secondo Bonaccini e Salomoni “questo comporterebbe la necessità di riorganizzare la rete scolastica, accorpando istituti che hanno già una media di più di 1.000 studenti per autonomia, con punte di quasi 1.200 studenti nelle scuole superiori di secondo grado”.

Lo scorso mese di febbraio, la Regione Emilia Romagna aveva già presentato ricorso alla Corte Costituzionale contro il dimensionamento approvato con la prima Legge di Bilancio del Governo Meloni, la quale porta progressivamente a fare scomparire l’autonomia a decine di istituti (oltre 600 in più anni complessivamente in tutta Italia).

La costituzione in giudizio davanti alla Consulta è stata formalizzata dalla Giunta regionale contro le parti della Legge statale di bilancio 2022 con le quali si alza a 900 studenti la soglia minima per poter avere una autonomia scolastica con un proprio dirigente: l’innalzamento del limite minimo ha prodotto e produrrà (complice la denatalità) sempre più accorpamenti e riduzioni del numero delle scuole. E ciò potrebbe comportare la penalizzazione di aree interne, periferiche e dei comuni montani.

Va ricordato anche che l’Emilia-Romagna non è la sola ad aver espresso contrarietà all’ennesima operazione di spending review a spese dell’Istruzione: in Conferenza Unificata, anche Abruzzo, Campania, Puglia, Sardegna, Toscana, UPI e ANCI, le associazioni dei Comuni e delle Province italiane, hanno sancito il mancato accordo sullo schema di decreto del ministro dell’istruzione e del merito, di concerto con il ministro dell’economia e delle finanze, che stabilisce i criteri per la definizione del contingente organico dei dirigenti scolastici e direttori dei servizi generali e amministrativi e la sua distribuzione tra le Regioni per il triennio 2024/2027. Ma nonostante tale contrarietà, il decreto è stato firmato.

“Questa norma – sostengono i due dem riferendosi al dimensionamento varato a fine 2022 – è ingiusta, lesiva delle competenze di programmazione regionali e degli Enti locali e dei principi di leale collaborazione, sussidiarietà e di rispetto delle procedure di coordinamento Stato-Regioni in materia di scuola”.