La platea manigolda dei docenti ribaldi

Dalla tolda del salone del gusto, in quel di Torino, di Leopolda discetta la Ministra con piglio certosino.

Cucina saporose parole per la scuola ormai frusta, la rimpinza di lodi, futuri scenari pregusta.

Spranga gli scatti vetusti, ne schiude degli altri: son quelli mef-itici, e sono molesti per chi del merito ha intuito lo sbollito odore dell’italico ammaliatore di turno, beato fabulatore calzato-coturno, in soliloquio abituale: sperperio istituzionale.

Intanto, la platea manigolda dei docenti ribaldi è zittita, taciuta ai meeting spavaldi : silenzi augustei accolgono il Verbo, che esclusivo raduna analisi oggettive; non sia mai si scopra che medusee dissimulate, e travestite, son le tabelle performative, imbastite così come sono dal Piano aziendale, che è Buono, e ingordo di liberisti slanci adusi solo ad aggiustar bilanci, (apprendisti farisei !), bramosi sempre sui soliti noti, accaniti, garbati e visigoti. Ma solo annunci per giunta rigonfi, quando non sono medaglie celate, per chi sbilancia fatture truccate, per chi sotterra la civile società alzando muraglie di altera iniquità.

Orsù, stregoni, suvvia, non tramate: matate per sempre, oggi e domani, e ancora ancor, a più non posso, colpite nel segno, e a piene mani: di polpa il corpo docente ormai ne è privo, già si intravede l’osso costitutivo: siam diventati, (lo siamo da sempre?), spugnati stoccafissi, strizzati baccalà e, di sicuro e con sicurtà, portatori salùbri di redditi fissi.

Così, con brillanti e protette patacche ammansite a ogni ora gonne e cravatte: insomma, come dire, la pubblica opinione. Ugualmente il catodico tubo, soporifero, bolso, verofalso amicone propaga un monsone di conforto letargico financo a frotte, e a notte inoltrata : sollievo epidermico, veglia fatata. Conclude così la presente canzone: già da tempo sovrana è la ggente, che sia tempo di fare come re, (adieu !… Costituzione) il tubo digerente.

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