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La scuola non è pronta, ma a scuola si deve tornare

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Il dibattito sui problemi educativi e la paura del rientro in classe legato all’emergenza coronavirus sollecitano un ripensamento, una evoluzione e una innovazione dell’organizzazione scolastica 1che andrebbero attuati, concretizzati e rafforzati nel tempo.

L’ottica di una maggiore professionalità degli educatori, di un miglioramento della qualità delle prestazioni educative, di un favorevole rapporto numerico tra docenti e alunni, della ridefinizione, riqualificazione, ordine e pulizia degli spazi educativi, di un adeguato coinvolgimento delle famiglie, della garanzia di una sicura progressione della carriera e di una adeguata retribuzione, costituiscono i campi cui sarà necessario occuparsi seriamente sin da subito.

Al di là delle norme, dei protocolli d’intesa, della nomina di esperti e commissari straordinari e dell’impegno particolare di ciascuno, è compito della politica, tenendo conto delle trasformazioni profonde prodotte dall’emergenza sanitaria, sollecitare una partecipazione competente per rendersi protagonista corresponsabile dell’educazione dei ragazzi, del buon funzionamento della scuola, di un miglioramento permanente per far sì che le strategie educative possano avere effetti positivi duraturi.

Nella costruzione sociale della conoscenza, una politica favorevole alla scuola ha il compito fondamentale di favorire la collaborazione, l’incontro e la costruzione di una rete comunicativa aperta e disponibile alle differenze.

Tutte le possibili soluzioni vanno attentamente analizzate e prese in considerazione perché la soluzione non è mai una sola e la stessa per sempre.

Le forze intellettuali, politiche e professionali devono pertanto costituire importanti risorse orientate e finalizzate a riconoscere, nei fatti, che la qualità dell’istruzione, il benessere dei ragazzi, delle loro famiglie e dei docenti, non è un costo per la società, ma un investimento necessario e certamente produttivo per il futuro.

Sembra ben miope la pretesa di gestire le criticità dell’istruzione facendo leva sulle posizioni dei diversi saggi che, nell’ottica di una funzionale riorganizzazione dei servizi socio-educativi, annullano le interazioni con docenti, alunni e famiglie, che diventano semplici spettatori, ricettori passivi di un processo di trasformazione che, invece, dovrebbe contribuire positivamente, attraverso scelte condivise, alla soluzione dei problemi nei quali la scuola oggi si dibatte.

La politica non può pensare di garantire il diritto all’istruzione con l’acquisto di banchi di ultima generazione, di dubbia praticità e funzionalità dal punto di vista didattico, di detergenti e disinfettanti che, comunque, dovrebbero costituire un elemento di ordinarietà all’interno di una struttura pubblica. Né tantomeno si può immaginare di percorrere la suggestiva, ma impraticabile strada di fare lezione fuori dalle aule, nei musei, nei luoghi di cultura, nei cinema ecc.
Tante sono le cose che non vanno e, dopo mesi di gestione straordinaria dell’emergenza, il Governo deve immediatamente, attraverso tavoli di confronto, sciogliere tutti i nodi per un ritorno effettivo alla didattica in presenza.
È una condizione assai tragica e, a ben riflettere, non si può immaginare la scuola senza un ritorno in classe.

Dopo tanti tentativi, tante proposte, tanti dibattiti, che fare?
La scuola non è pronta, ma a scuola si deve tornare ribadiscono tutti i sindacati. Non è possibile ridurre il tempo scuola, né ricorrere nuovamente alla Dad che va vista solo ed esclusivamente come un elemento di supporto.
Dopo decenni di inefficienze la scuola somiglia sempre più ad un serpente che ha perduto la pelle, ma non ne ha rimessa una nuova.

Confusa in un incolpevole vuoto concettuale, inghiottita negli spazi bui della fantasia, continua a perdere forza come gli ultimi bagliori di un fuoco che si spegne ed è diventata un gigantesco spettacolo.
Una politica per la scuola conforme ai bisogni e alle necessità di docenti, alunni e famiglie deve riconoscere che l’educazione è un fatto sociale di vitale importanza che deve necessariamente promuovere forme di apprendimento socializzanti.

Il rischio incombente è quello dell’isolamento e dell’emarginazione sociale. In educazione c’è un urgente bisogno di alterità e di confronto con gli altri che consentono all’alunno di riconoscersi come parte di un gruppo che agevola e favorisce la comprensione condivisa della conoscenza.
Solo un’azione coordinata, coerente, pratica e funzionale della proposta formativa può evitare il disorientamento, la perdita di senso e fare della scuola e dell’educazione uno strumento democratico del cambiamento.
L’emergenza sanitaria ha rinnovato profondamente le modalità dei legami sociali, per questo, occorre un nuovo ambito di comunicazione, di pensiero, di lavoro per mantenere viva una tradizione, una storia, un precipuo quadro di valori.

La scuola è il contesto formativo privilegiato nel quale la proposta culturale deve rinascere nell’ottica dell’ ordinarietà.
Ogni cosa ha un prezzo. Tutto deve essere conquistato e orientato a garantire servizi educativi di qualità, affinché ciascuno possa trarre giovamento e nutrimento da una scuola differente, ma in presenza.
Il dibattito politico sui problemi della scuola è vecchio come il mondo e non si può certo sperare di portarlo a conclusione.
Ma a che serve un Ministro e un Ministero dell’Istruzione se si continua a non coinvolgere gli attori principali?

Come sarebbe bella la politica senza i politici!

Fernando Mazzeo