Home Attualità La scuola “reale” ci difenda dalle contraddizioni della classe politica

La scuola “reale” ci difenda dalle contraddizioni della classe politica

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I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo, secondo Wittgenstein. O con Heidegger, il linguaggio è la casa dell’essere.
Che dire, quindi, di un “concorso non selettivo” del ministro Bussetti o “l’obbligo flessibile” della ministra Grillo? Mi pare che i due ministri non si siano resi conto della contraddittorietà, cioè del non-senso, di queste loro affermazioni.

Sono solo due esempi, ma che dicono del mondo di oggi. Per non parlare della sanatoria fiscale definita “pace fiscale”, oppure del sottosegretario Crimi che si è lasciato sfuggire che “le fake news sono forme di libertà di espressione”.

Se questo è il clima, si capisce quanto sia difficile oggi fare scuola, non limitandosi al solo nozionismo, mentre, lo sappiamo, la scuola reale è diventata sempre più uno spazio aperto ma vincolato alle domande di verità, di giustizia, di bellezza.
Il vero sapere, così si sperimenta a scuola, ci conduce oltre le opinioni, i punti di vista, le impressioni.

In che modo, ad esempio, posso convincere di un errore chi dà per scontato che non si debbano sentire ragioni opposte alle mie, chi ritiene cioè assurdo che qualcuno possa pensare in modo diverso dal mio o di chiunque altro?
Che capacità ha di dialogo chi ritenga un errore il solo fatto che qualcuno possa pensare in modo diverso?

A scuola, dunque, vengono proposti dei percorsi culturali, ma in modo dialogico, eppure tutti vincolati alla domanda di verità. Non perciò un dialogo fine a se stesso.
A scuola, cioè, si insegna la vita, prima delle nozioni o informazioni.

Da un lato, perciò, ci può essere dialogo solo se si presuppone che ci possano essere opinioni diverse dalla mia, tua, sua, dall’altro ci può essere dialogo solo se si condivide che l’opinione è vera non perché mia o tua o sua, ma altra e oltre noi stessi.
Di qui la ricerca, la fatica, lo sforzo, sapendo che ad accompagnarci non può non essere la prudenza della riflessione, la quale ci dice che si può contrastare una opinione solo se si dimostra la sua contraddittorietà. Senza questo uso della ragione, solo la violenza avrà la meglio.

La mia opinione potrò dire che è vera, dunque, solo se la sua presunta contraddittorietà non si rivelerà a sua volta autocontraddittoria.
Sarò io a vincere? No, a vincere sarà la verità attraverso di me o di te, perché la verità non coincide con nessuno e con tutti allo stesso tempo. Perché tutti siamo cercatori di verità, di giustizia, di bellezza, di bene, ma nessuno potrà ergersi a possessore.

La verità non appartiene a nessuno, ma è a disposizione di tutti. Questa è la cultura, questa dovrebbe essere il sentiero principe delle discussioni, senza insulti, condanne, pregiudizi, presunzioni. Altro modo per dire che senza l’umiltà della ricerca non ci può essere nè dialogo nè sapere. Ma solo violenza, fine a se stessa.
Se la scuola e l’università non sono luoghi principe di questo esercizio del dialogo, a che pro?

Quanti, in queste istituzioni, hanno maturato questa persuasione, al di là dei nozionismi, delle specializzazioni, dei mille frammenti?
Ma non so se questa scuola reale, al di lá dei paradigmi dominanti, legati ad un nichilismo utilitaristico, sia conosciuta dalla politica contemporanea, cioè dai vecchi o nuovi governi.
Nel frattempo, i nostri giovani migliori hanno come unica opportunità quella dell’estero.

Se i politici sono lo specchio della nostra società, non c’è molto da sperare. Ma la scuola reale, invece, è fatta di persone (docenti, presidi, personale) che ancora ci credono al valore della formazione, alla fatica del concetto, alla meraviglia della vita che domanda, appunto, verità, bene, bellezza, giustizia.