Home I lettori ci scrivono Lettera di una docente ai suoi alunni dopo quarant’anni di insegnamento

Lettera di una docente ai suoi alunni dopo quarant’anni di insegnamento

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Cari ragazzi e ragazze,

anche per me dopo quarant’anni di insegnamento è giunto il momento di salutarvi.

La pandemia, la guerra, la globalizzazione, la comunicazione veloce e pervasiva dei social hanno accelerato in modo incredibile l’informatizzazione della didattica costringendo discenti e docenti ad adattamenti rivoluzionari sia nei contenuti che a livello emozionale. Vi scrivo, tuttavia, per ribadire ancora una volta, nonostante le inadempienze, l’importanza della scuola pubblica per la realizzazione della mobilità sociale basata sulla relazione e sul dialogo educativo.

Ognuno di noi è portatore di talento necessario a rispondere alle infinite richieste e alle grandi sfide imposte dall’attualità. Come diceva il maestro Don Milani la scuola superando le differenze libera dagli ostacoli e realizza l’eguaglianza sostanziale fra i cittadini. Quante volte nell’ora di Educazione Civica abbiamo letto i principi fondamentali dello Stato riflettendo su quanta strada occorra ancora fare per realizzare la giustizia!

Mi è stato difficile parlare di pace in tempo di guerra, ma voi continuate a credere nella pace come premessa indispensabile per il progresso futuro e il tempo vi darà ragione. Siate ottimisti come le parole trovate scritte su un muro di una cantina della cittadina di Colonia dove si nascondevano alcuni ebrei durante le leggi razziali: ”Credo nel sole anche quando non splende, credo nell’amore anche quando non lo sento, credo in Dio anche quando tace”.

Vi scrivo, tuttavia, soprattutto per ringraziarvi di aver condiviso con me, sia nei momenti lieti che in quelli della mestizia, l’età più bella. A voi tutti sono grata per avermi donato con l’entusiasmo della giovinezza e con la generosità che la contraddistingue, la sensazione inebriante che il tempo non scorra mai restando immutabile e sempreverde nei sogni: “C’è un vantaggio reciproco, perché gli uomini mentre insegnano imparano” (Seneca).

Da voi ho appreso che le motivazioni dell’animo sono occasioni per la crescita non solo cognitiva ma umana e personale considerando l’unicità di ognuno nella destinazione alla felicità.

Mi siete cari tutti, quelli studiosi, impegnati e diligenti ma in particolar modo i più fragili e svantaggiati che hanno ridimensionato la mia docenza con la feconda e paziente umiltà dell’ascolto che abbraccia teneramente anche se non sempre comprende.

Se chiudo gli occhi vi immagino ancora adolescenti eppure so bene che molti di voi sono ora uomini e donne affaccendati nella vita familiare e professionale. Di quelli più lontani negli anni non ricordo i nomi ma ogni loro gesto, ogni parola, ogni lacrima inconsolabile e ogni sorriso indimenticabile è conservato in un angolo del mio cuore che ora viaggia con voi nel mondo.

Oh! Non ho mai considerato il mio un lavoro. Del resto è stato un privilegio “andare a scuola” come una di voi nell’avere la sensazione che l’eternità fosse la condizione umana. Non si finisce mai di essere insegnanti nella memoria dei propri alunni. So bene che chi insegna tocca una vita per sempre e questa consapevolezza mi ha reso pensierosa e dubbiosa gravata da mille responsabilità. Nessuna scienza, per quanto esatta, può prevedere con certezza gli effetti delle nostre azioni.

Tutto ciò, non ha fatto che mettere in rilievo, nella bontà delle intenzioni, la bellezza inedita del nostro operare come educatori. Ho iniziato ad insegnare a soli diciotto anni nella scuola dell’infanzia e successivamente nella scuola primaria e media con una didattica tradizionale, oggi direbbero obsoleta, senza l’utilizzo dei mezzi informatici. Tutti ricordiamo la lavagna e l’odore di gesso ora sostituita dalla moderna e interattiva LIM. Nelle varie esperienze ho costatato che al di là dei mezzi e degli strumenti, addirittura al di là dei contenuti cognitivi e delle informazioni, la cosa più importante è l’acquisizione della capacità emotiva, morale ed etica di vivere in base ai valori che da sempre hanno caratterizzato il “Bel Paese”. L’attenzione al confronto generazionale come feconda testimonianza nella prossimità con i nostri nonni diventa proficua conoscenza di chi ha vissuto il travaglio delle guerre mondiali e la miseria non solo materiale di città devastate. Il rispetto della “Diversità” di ognuno e di tutti nell’inclusione solidale invita i giovani a radicarsi nella propria identità per aprirsi agli altri. In conclusione, l’invito più grande che rivolgo ai miei alunni è quello di ammirare la bellezza che attraverso differenti linguaggi ci unisce come membri di una stessa famiglia: quella umana. A settembre non ci rivedremo, miei cari alunni, ma non dimenticate mai di guardarvi intorno per cogliere la bellezza che vi circonda anche nelle semplici cose di tutti i giorni. Ascoltate il respiro delle stagioni che si alternano nel trapasso dei giorni guardando, qualche volta, durante la lezione, dalla finestra, anche con disappunto dell’insegnante di turno, gli alberi del parco scolastico riempirsi di gemme e poi di foglie fresche agitate dal vento primaverile.

So bene che mi ritroverete in qualche verso di poesia che leggerete e che vi scalderà il cuore con la speranza in un avvenire migliore.

Vi abbraccio tutti calorosamente augurandovi buona vita.

Maria Assunta Oddi