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L’Italia, l’Europa e lo Zecchino d’oro

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Com’è grande l’essere umano quando, allo scopo di illuminare le menti ed accendere i cuori, fa uso di tre strumenti invincibili: il volto innocente dei bambini, la musica, l’emozione. Così, sabato sera, nella seconda serata dello Zecchino d’oro 2023, abbiamo raggiunto lo zenit del gradimento ascoltando, in diretta, dall’Antoniano di Bologna, la canzone ‘Ciao Europa’.

Il brano, scritto da Arcangelo Crovella e Lodovico Saccol, era interpretato da Eliza, 8 anni, di Scutari (Albania), da Dariya, 10 anni, di Varna (Bulgaria) e da Alexandros, 6 anni, di Galatsi (Grecia).

Questa canzone colpisce per l’equilibrio e la saggezza del testo, privo di retorica e, nello stesso tempo, semanticamente completo. Leggiamone insieme i passaggi più salienti:

Oltre le Alpi, ancora più su, /dove nasce e tramonta il sole. / Oltre il Paese che amo di più, / c’è un mondo tutto da scoprire. / Sogno di pace e libertà, / popolo che più confini non ha/per darsi la mano e crescere insieme. / Un sogno chiamato Europa. / Ciao Europa, ciao Europa, / io viaggerò perché/voglio conoscere, voglio capire, / chi sogna come me. / Insieme studiare e costruire, / la pace che ancora non c’è. / Ciao Europa, ciao Europa, / io porterò con me / il calore, la storia / la nostra bellezza / il sorriso più bello che c’è …

Mi piace sottolineare alcuni passaggi: “Oltre il Paese che amo di più, / c’è un mondo tutto da scoprire”. In questo verso sono espressi due concetti, non in antitesi ma in inclusione. L’identità nazionale (il Paese che amo di più) e l’identità più ampia, quella europea (c’è un mondo tutto da scoprire). Sembra cosa da nulla ma, oggi, molti affermano di non riconoscere altra patria se non quella europea, negando così la patria-nazione. Come ci sono altri i quali teorizzano che l’unica identità riconoscibile è quella dell’universale comunità umana. No! L’universalità umana è una cosa e l’identità nazionale è un’altra cosa. Questi due valori – umanità e patria – devono integrarsi, senza confondersi e senza escludersi. E nemmeno sono la stessa cosa.

Allora trovo più equilibrata la tesi di chi afferma che il concetto di patria può essere usato solo al plurale, cioè soltanto se si riconoscono tutte le altre patrie. Anche se, pure questo discorso mi sembra riduttivo. Infatti, fa tornare alla mente la famosa massima di Rousseau: “Il primo uomo che ha recintato il suo campo, affermando: Questo è mio, ha costretto tutti gli altri a recintare il loro”. No! La patria non è un recinto, non è solo un meccanismo difensivo. È molto di più. La Nazione, infatti, è la concretezza di un popolo, posta tra l’individualità del singolo e l’universalità astratta dell’umanità.

Sì, dunque, all’Europa. No, all’abolizione dei confini concettuali: la Francia è la Francia, l’Italia è l’Italia… Ciascuna con la sua storia e la sua identità inconfondibile. Il che significa che i 28 Stati che compongono l’Unione Europea sono come persone, diverse nell’identità ma eguali nella dignità umana.

Un continente qual è l’Europa, dunque, non può essere considerato come una super-nazione derivante dalla somma di più nazioni, ma è l’incontro di nazioni che vivono insieme perché si riconoscono nella stessa storia, cultura, destino. Il testo della canzone, in qualche modo, lo fa notare quando afferma: “popolo che più confini non ha / per darsi la mano e crescere insieme”. L’abolizione dei confini, in questo caso, non è di tipo concettuale ma riguarda il progetto di costruire la stessa civiltà e di promuovere la pace. E come non cogliere qualcosa di tipicamente italiano nel passaggio: “io porterò con me / il calore, la storia / la nostra bellezza / il sorriso più bello che c’è”.

Giungeremo mai a questa Europa unita e distinta nelle varie identità nazionali? Forse rimarrà solo un’utopia. C’è stato, però, nel Novecento, chi ci credeva fermamente. Scriveva, ad esempio, don Luigi Sturzo che, come nell’Italia preunitaria, città e regioni erano in continua lotta fra loro, mentre, oggi sono organicamente unite, così potrà accadere che l’Europa si trasformi, per gradi, in una pluralità di parti autonome costituite in totalità unitaria.

Luciano Verdone

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