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Luciana Littizzetto e l’intervento sulla prof colpita da pistola ad aria compressa: ma i professori italiani sono empatici o no?

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Si è tanto parlato in questi giorni dell’intervento di Luciana Littizzetto sul caso della professoressa di Rovigo colpita da alcuni suoi alunni con pallini di gomma sparati da una pistola ad aria compressa. In estrema sintesi – secondo la popolare artista – un docente o è empatico, e dunque amato dagli alunni, o non lo è, e quindi destinato a essere impallinato.

L’empatia, questa parola ultimamente tanto adoperata nei più svariati contesti, sembrerebbe la chiave d’accesso per aprire ogni porta, anche la più blindata. La parola magica per riuscire a stabilire un contatto positivo anche con le persone più riottose e recalcitranti ad ogni forma di rapporto umano. Per tornare in ambito scolastico, la parola passe partout che consentirebbe al docente di tessere relazioni pacifiche e proficue anche con gli alunni più difficili.

In effetti, non siamo così lontani dalla realtà: l’empatia è davvero il “dono” che ogni professore dovrebbe possedere. Senza, peraltro, pretendere che i docenti possano come per incanto trasformarsi in tanti professor Keating – ricordate L’attimo fuggente, capitano mio capitano? – ci chiediamo: ma questa benedetta empatia, come si può declinare in comportamenti concreti e quotidiani, sia dal punto di vista relazionale che metodologico, tali da rendere un docente stimato e apprezzato dai suoi alunni? 

Proviamo ad elencare alcuni atteggiamenti che riteniamo debbano far parte del bagaglio di base di ogni professore: 1. entrare sempre in classe salutando con giovialità e sorridendo. Banale? Non esattamente. Un sorriso schietto e sincero apre autostrade comunicative insospettabili, informa i ragazzi che stiamo entrando in classe contenti di farlo, che ci piace essere lì con loro in quel momento, che esercitiamo la nostra professione con gioia ed entusiasmo; 2. Essere gentili, sempre e comunque. Interagire con pacatezza, esprimere anche il proprio disappunto in merito al comportamento di un alunno articolando il proprio pensiero con calma e senza gridare, anche nei momenti in cui si avrebbe voglia di urlare: 3. Diffondere ottimismo, favorendo la circolazione di idee positive che stimolino un approccio fiducioso alla vita, perché non è vero che tutto va a rotoli, perché bisogna dare sempre credito all’uomo e all’umanità; 4. Mettersi in posizione di ascolto. Nella fase più delicata e complessa della loro crescita – dai 14 ai 18 anni – i ragazzi hanno bisogno di persone di riferimento che siano credibili e affidabili. Di persone attente ai loro segnali di difficoltà, che sappiano fermarsi ad ascoltarli con attenzione: i cosiddetti programmi possono aspettare, alcuni problemi dei ragazzi no.

Dal punto di vista metodologico poi, attualizzare dovrebbe essere una vera e propria parola d’ordine. Soprattutto nei contesti educativi più difficili, partire dal vissuto dei ragazzi appare un imperativo categorico. Nemmeno il professor Keating riuscirebbe a ottenere l’attenzione di venticinque alunni se stesse a parlare di Shakespeare per un’ora di seguito senza suscitare una curiosità, senza stimolare un dibattito, un entusiasmo, la voglia di dire qualcosa. Accorciare il proprio tempo di parola, allungando quello degli studenti è la sfida da porsi ogni giorno.

Ebbene, nelle nostre scuole ci sono legioni di professori che ogni giorno lavorano così e anche meglio di così, malgrado le mortificazioni, le aggressioni e la scarsa considerazione sociale di cui godono. Di empatia – con buona pace della signora Littizzetto… e del professor Keating – sono piene le nostre aule.