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Religione cattolica, un milione di alunni (pure al Sud) dicono ‘no’. Per la Cei perdono un’occasione: impara a crescere e trasmette elementi etico-culturali

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A meno di un mese dalla scadenza delle domande d’iscrizione al prossimo anno scolastico, la Conferenza episcopale italiana si appella agli alunni e alle loro famiglie per chiedere pubblicamente di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica; prima di tutto perché, sostengono i vescovi, si tratta di ore di lezione che trattano contenuti di tipo etico e culturale, ma anche perchè la frequenza dell’ora di religione farebbe crescere l’individuo.

“Cogliamo l’occasione – ha scritto a novembre la presidenza della Cei in un documento diffuso lunedì 13 gennaio – per invitarvi ad accogliere questa possibilità, grazie alla quale nel percorso formativo entrano importanti elementi etici e culturali, insieme alle domande di senso che accompagnano la crescita individuale e la vita del mondo. Il tutto, in un clima di rispetto e di libertà, di approfondimento e di dialogo costruttivo”.

Nella nota, i vescovi fanno anche riferimento al Giubileo e al suo tema “Pellegrini di speranza“: “Il tema della speranza provoca in modo speciale il mondo dell’educazione e della scuola, luoghi in cui prendono forma le coscienze e gli orientamenti di vita e si pongono le basi delle future responsabilità”.

Quindi, ancora la Cei definisce gli insegnanti di religione dei “Testimoni di speranza”, perché “uniscono alla competenza professionale l’attenzione ai singoli alunni e alle loro domande più profonde”.

Il timore della Cei è che l’involuzione di adesioni all’ora settimanale di religione cattolica possa continuare anche nel prossimo anno scolastico: un processo favorito anche dalla crescita numerica di alunni stranieri, tra i quali figurano molti non cattolici, a differenza invece degli allievi italiani che continuano a ridursi a ritmo di oltre 100 mila l’anno.

Il calo di alunni che si avvalgono della religione a scuola, come abbiamo avuto modo di scrivere esattamente un anno fa, si evidenza soprattutto negli istituti superiori dei grandi centri cittadini del Nord: la media nazionale di diniego allo svolgimento della religione cattolica (che non è catechesi, ha sottolineato più volte lo Snadir) si aggira infatti sul 15 per cento (cresce di anno in anno, basti pensare che nel 2010 stava sotto il 10 per cento), un dato per i vescovi preoccupante poichè corrisponde ad oltre un milione di allievi che quando c’è religione escono dall’aula.

Il record per la scuola secondaria, soprattutto dei licei artistici dove quasi 3 studenti su 10 dicono ‘no’, appartiene a Torre Pellice, in provincia di Torino, dove si arriva a sfiorare il 90 per cento di studenti che non si avvalgono delle lezioni di religione e svolgono un’ora a settimana su contenuti di materie “alternative”.

A ben vedere, quello di Torre Pellice è un dato che si giustifica per la nota presenza in quella zona piemontese di minoranze di altre etnie o di altre religioni nel territorio, ma soprattutto della sede storica della comunità valdese. Poi va anche detto che al Nord l’alta presenza di cittadini immigrati contribuisce a tutto questo: non a caso, in Lombardia più di un alunno su cinque si avvale della possibilità di non seguire la religione cattolica a scuola.

Ma il disinteresse per la religione si riscontra pure in territori di Centro-Sud. Una località, in particolare: si tratta di Comiso, nel Ragusano, dove molti dei 30 mila abitanti credono in Maometto e non in Dio.

Si arriva al punto, almeno secondo il sito www.riforma.it, la scuola dell’Infanzia di Comiso detiene ben l’87,5 per cento di alunni che non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica. È significativo che nella scuola dell’Infanzia Idria, su 48 bambini iscritti, addirittura 40 non sono di origine italiana: si tratta infatti di bimbi con genitori e nonni di origine musulmana. È il dato più alto in Italia a livello di scuola dell’Infanzia.