
L’annuncio di Valditara di voler ripristinare il latino alla “scuola media” sta provocando un bel dibattito nelle scuole e nei social.
Ne parliamo con Simonetta Fasoli, già dirigente scolastica, componente del direttivo del Cidi di Roma, ma anche ricercatrice e formatrice sui temi del sistema educativo di istruzione.
Allora, che ne dice di questa ennesima sortita del Ministro?
Mi sembra che il Ministro stia facendo ricorso ai consueti squilli di tromba che a loro volta stanno scatenando gli applausi dei soliti, noti e ignoti.
Forse vale la pena fare un po’ di storia
Direi di sì, anche il latino, come tutte le materie, ha una storia e converrà brevemente richiamarla per i tanti smemorati cultori del passato “a prescindere”.
Attorno al latino si sviluppò un serrato confronto negli anni Cinquanta del secolo scorso in merito alla riforma che mise capo alla cosiddetta “Scuola media unica”, istituita con la Legge n. 1859 del 31 dicembre 1962.
Quali erano le posizioni?
Tra i fautori di una scuola ancorata al sistema gentiliano (scuola media ginnasiale e scuola di avviamento professionale che separavano a 11 anni percorsi scolastici e destini sociali) e i sostenitori di una netta discontinuità dal passato e dalla più fascista delle riforme (la definizione era dello stesso Benito Mussolini) il latino si trasformò in una vera e propria posta in gioco.
Vogliamo ricordare ai più giovani come si concluse lo “scontro”?
Alla fine, si arrivò ad una soluzione di compromesso: il latino si attesta lungo la linea di resistenza, e non scompare. Resta sotto forma di “elementi di lingua latina”, parte integrante dell’insegnamento di italiano, in seconda media e materia di studio opzionale in terza (abbinata alle Applicazioni tecniche maschili e femminili per chi non scegliesse il latino).
Insomma l’idea di Valditara non mi pare davvero una grande novità.
Lei ha insegnato anche alla scuola media, più di mezzo secolo fa; cosa ricorda in proposito?
Nel 1971 ero una giovanissima supplente di lettere alla scuola media ed ebbi modo di vedere in azione la scuola media riformata. Nella mia classe terza, secondo l’orario settimanale, c’era un’ora in cui un gruppo di alunni e alunne si alzava e lasciava l’aula per andare a seguire l’ora di Applicazioni tecniche. Il resto rimaneva in classe per la lezione di latino. Era la scuola “normalmente selettiva” che si affermava con la forza della norma che si fa ovvietà e dunque strumento di conservazione.
Qual è il suo giudizio pedagogico e politico su questa soluzione?
La scena che ho descritto è un esempio assai eloquente della scuola “di classe”, nel senso pieno del termine.
Era la scuola nata da un compromesso politico-culturale, che come ebbe a dire un grande uomo di scuola, Alberto Alberti, portava in sé “il germe della separazione”. Era il “doppio canale” che sopravviveva all’interno dello stesso ordinamento e nel corpo scisso dello stesso edificio. La linea di resistenza del privilegio sociale che si fa sistema si attestava attorno all’insegnamento del latino: opzionale proprio in quanto rivolto ai pochi. Perché la questione non è se sia o meno una “lingua morta”, ma quanto sia viva e resistente la sua carica simbolico-culturale di discrimine sociale.
Però gli esperti che stanno lavorando alla revisione delle Indicazioni non sono degli sprovveduti…
A me viene un dubbio: gli estensori dei nuovi programmi (per favore, non chiamiamoli “Indicazioni nazionali”, che sono tutt’altra cosa) conoscono questa storia con tutte le sue implicazioni?
Mi sembra difficile sostenere che la possano ignorare, ma è plausibile che ne abbiano perso il “senso” e lo spessore storico, come succede agli esponenti delle culture politiche che hanno sostituito alla visione storico-critica del passato la ricostruzione ideologica.
A proposito di questo, però, va detto che il Ministro sostiene che la storia va de-ideologizzata…
Mi sembra che il Ministro Valditara sia in contraddizione con se stesso perché nell’accennare alla disciplina della storia sottolinea come debba essere una narrazione senza “sovrastrutture ideologiche”. Ma poi la scelta della reintroduzione del latino mi sembra fortemente impregnata di una precisa ideologia.
Non ha nulla a che fare con una disciplina di studio: è, come in un passato che credevamo archiviato, un “feticcio” della scuola di classe.