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Stipendi docenti, ore aggiuntive: la paga oraria “aumenta”, ma il budget rimane uguale. Illusionismo retributivo?

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Nello scorso agosto, i nostri lettori hanno potuto leggere sulle nostre pagine una notizia dolce e una amara. Notizia dolce: aumenta la paga oraria per lo straordinario dei docenti e degli ATA. Notizia amara: diminuiscono le ore da retribuire. Quindi i fondi complessivi (“Fondo d’Istituto”) disponibili per coordinatori, collaboratori del dirigente scolastico, referenti dei progetti, basteranno appena per pagare con qualche spicciolo in più un numero inferiore di persone; oppure per retribuire le stesse persone con meno soldi.

Insomma, l’aumento è fittizio, giacché lo stanziamento disponibile per ogni istituzione scolastica è lo stesso dell’anno scorso. Neanche stavolta docenti e ATA nuoteranno nell’oro. Tutt’altro.

Ti pago di più, ma ti diminuisco le ore pagabili

Infatti, la paga oraria per gli incarichi extra dei docenti (“ore aggiuntive non di insegnamento”) passa da euro 17,50 (lordi) a 19,25 (lordi), mentre non aumentano i fondi disponibili. Pertanto, le ore di straordinario pagabili saranno di meno. Il messaggio implicito è sempre lo stesso: per la Scuola, «bambole, non c’è una lira»; se volete lavorare, accontentatevi della nostra riconoscenza.

Tutto ciò è previsto nella bozza di contratto firmata per la parte economica — dai Sindacati “maggiormente” rappresentativi — a luglio 2023 per il triennio 2019/21, secondo la tradizione ormai consolidata di sottoscrivere i contratti scaduti da due anni o più, in modo che nemmeno il recupero dell’inflazione effettiva possa giammai verificarsi.

Dal 2007, prezzi aumentati del 30%, ma ore aggiuntive pagate il 10% in più (forse)

Anche per retribuire le ore aggiuntive per i corsi di recupero — la cui paga era ferma a 50,00 euro (lordi) dal 2007 — si passa alla cifra di euro 55,00 (lordi). Le ore aggiuntive di insegnamento comune (quelle per le sostituzioni dei docenti assenti), ferme anch’esse da cinque lustri a 35,00 euro (lordi), saranno pagate euro 38,50 (lordi). Per recuperare la perdita di potere d’acquisto dovuta all’inflazione dichiarata dal 2007 ad oggi (secondo le tabelle ISTAT), le cifre dovrebbero esser ben più cospicue: almeno 23,00 euro per le ore aggiuntive non di insegnamento; almeno 68,00 euro per le ore aggiuntive per i corsi di recupero; almeno euro 47,00 per le ore aggiuntive di insegnamento comune. Rispetto a sedici anni fa, infatti, l’indice dei prezzi al consumo ha registrato un aumento di almeno il 30%, ben superiore al misero 10% che viene riconosciuto ai lavoratori della scuola (dopo un quindicennio, e soltanto per le ore straordinarie). Illusionismo retributivo, paragonabile al gioco delle tre carte?

Manca ancora la firma definitiva, ma il risultato finale non sarà, molto probabilmente, difforme da questo.

Caramelle non ne voglio più…

Intanto, di fatto, chi lavora nella Scuola è sempre più povero. «Con 1.500 euro un professore non riesce a vivere, né ci riesce con 1.300 euro un docente di scuola primaria. Il tema è come trovare risorse per far sì che tutti gli insegnanti, dal sud al nord, vengano pagati di più». Parole del ministro Valditara, pronunciate il 27 gennaio scorso davanti alle telecamere della trasmissione televisiva “Omnibus” de La7. E ancora: «Noi dobbiamo lanciare questa grande sfida, che ho portato anche a livello europeo parlandone con la commissaria all’Istruzione Mariya Gabriel, perché il problema non è solo italiano. La vera sfida è trovare ulteriori forme. Lo Stato deve fare la sua parte, ma poi dobbiamo trovare altre risorse».

Nostalgia delle gabbie salariali?

A dir la verità, altre opinioni del ministro, espresse pubblicamente in più occasioni, erano state molto meno rassicuranti. Per esempio, quella del 25 gennaio sulla presunta necessità di pagare di più i docenti delle regioni settentrionali del Paese, «dove il costo della vita è più alto», per realizzare “maggiore equità” rispetto alla retribuzione attuale, che oggi penalizzerebbe i docenti del Nord (dove peraltro tutti i servizi pubblici funzionano meglio che al Sud, mentre al Sud è quasi d’obbligo, ad esempio, rivolgersi alla sanità privata o andare al Nord per curarsi!). Dichiarazioni, quelle del ministro, senz’altro assai gradite agli elettori della Lega per Salvini Premier.

«Rendere attrattiva» la professione docente: con questa politica scolastica?

Il 19 settembre, su SkyTG24, altre promettenti dichiarazioni di Valditara: «Bisogna credere nella scuola italiana, abbiamo insegnanti di valore, i primi segnali di miglioramento si stanno già avvertendo. Gli stipendi degli insegnanti non sono adeguati, proveremo a fare di più».

Il 12 settembre, alla presentazione del rapporto OCSE Education at a Glance (EAG) 2023, aveva solennemente dichiarato: «Ridare prestigio sociale e autorevolezza è la grande sfida per rendere sempre più attraente questa professione». Aveva poi aggiunto: «Dobbiamo motivare i docenti e incoraggiare i giovani migliori a intraprendere questa carriera. Credo che una delle grandi emergenze su cui tutti dobbiamo ragionare, anche a livello internazionale, è come rendere attrattiva una professione strategica per lo sviluppo dei nostri Paesi».

Fu relatore della legge 240/2010, la cosiddetta Riforma Gelmini dell’Università

Quasi che il ministro Valditara fosse talmente nuovo al Ministero dell’istruzione da potersi spacciare come colui che cambierà tutto in meglio, dando una forte sterzata rispetto alle politiche scolastiche dell’ultimo trentennio. Si dà il caso, però, che il professor Giuseppe Valditara lavori al ministero dell’istruzione almeno dal 2008 (quando contribuì a scrivere la famigerata “riforma” Gelmini dell’università). Per la quarta volta governava Silvio Berlusconi, il quale tolse alla Scuola la bellezza di otto miliardi e mezzo di euro.

All’epoca una trentunenne Giorgia Meloni era ministra “della gioventù”, e Valditara aveva “solo” 47 anni: erano forse ancora troppo giovani per rendersi conto che quel gigantesco taglio avrebbe favorito l’impoverimento della Scuola e degli insegnanti?