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Stupro Palermo, è necessario un grande cambiamento culturale

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La società civile dopo l’ennesimo e, direi, premeditato disegno criminoso su donne inermi, continua ad interrogarsi sulla inarrestabile scia di violenze e femminicidi, che ledono i diritti fondamentali della persona e mettono in crisi la complessa e delicata funzione e azione educativa della famiglia, della scuola e dell’intera società.

Spesso, c’è la tendenza, da parte degli autori di questi orrori senza fine, a liquidare il tutto con la solita giustificazione: “Lei era d’accordo”.

Di fatto, il continuo aumento e la preoccupante espansione di tali fenomeni, registra il completo fallimento e la totale perdita di autorevolezza culturale e morale dei genitori.

L’impunità e la difficoltà ad interiorizzare precise regole, costituiscono i buchi neri dove si annidano forze contrarie ad ogni qualsivoglia forma di rispetto, di giustizia e legalità.

La perversa logica del “tutto posso” che si diffonde e si ramifica in maniera subdola e pericolosa e un apparato educativo inadeguato, accrescono il malessere sociale e allontanano i giovani dall’amore per le cose giuste, vere, belle e buone.

La nostra civiltà è ormai pervasa da un senso di impunità, da un pauroso permissivismo, da una fuga dalle responsabilità, dal rigetto di ogni regola giuridica, interiore e morale, che favorisce e alimenta la sub-cultura del disprezzo della donna.

Colpisce e impressiona la caduta progressiva “dell’educazione al rispetto e all’osservanza delle regole”, questo agire gratuito, distruttivo e destrutturante nei confronti dell’altro.

A questo punto, il “j’accuse” è inevitabile.

In pratica, non si può non riconoscere che l’abbandono di alcune buone pratiche educative, fatto in nome di una più libera crescita umana, di una costruttiva libertà di scelta, possano aver favorito un orientamento distruttivo, sconvolto la scala dei valori e annullato ogni regola morale.

Ma quali possono essere le effettive cause di queste complesse, inspiegabili e ingiustificabili azioni? Sicuramente, l’allentamento dei freni inibitori morali, l’ottundimento delle coscienze, l’antica tentazione dell’ uomo di sentirsi padrone del corpo delle donne e il tentativo di eliminare ogni ostacolo ai propri turpi desideri.

Si può dire che è in atto una vera e propria rivoluzione di genetica morale, dove la forza del soggettivismo ha il potere di ridurre la coscienza al silenzio: faccio quello che mi piace fare, che mi è gradito fare, ma non farò nulla di ciò che mi viene richiesto.

In questo modo, genitori, docenti e tutti coloro i quali sono chiamati a guidare, ad orientare, a consigliare, a far rispettare determinate regole, si trovano in serie difficoltà.

Errati condizionamenti sociali, ideologie, falsi miti ecc., spingono, dunque, i giovani a non ricercare più valori assoluti, bensì a raggiungere precari, falsi e ingannevoli equilibri interiori (trasgredisci, fai del male se questo ti gratifica e ti fa star bene).

Pertanto, è profondamente necessario un ritorno e un richiamo costate, sia dal punto di vista etico, sia dal punto di vista educativo, ad alcune fondamentali regole di vita: rispetto della persona, solidarietà, amore, impegno, assistenza, disponibilità, correttezza dei comportamenti sociali, riconoscimento dell’autorità, ecc..

Si tratta di far comprendere che ogni inosservanza di una regola comporta il male sul piano morale e la pena sul piano del diritto.

Per questo, occorre riscoprire il significato della punizione per far comprendere che non si tratta di un contrappasso dantesco, ma il ristabilimento oggettivo di un ordinamento di regole perturbato dalla colpa.

Parte da qui la bellezza del ritorno al rigore etico, la bellezza sublime di un rapporto che si compiace della propria pulizia interiore, che riscopre il piacere di guardare l’altro con occhi limpidi.

È fondamentale, dunque, un grande cambiamento culturale, ovvero, l’ orientamento verso la costruzione di una struttura interiore dove trionfi il rispetto, la giustizia, l’amore.

Educare i giovani a riappropriarsi delle vecchie buone e sane abitudini, a chiamare il male male e il bene bene, guidarli a vivere secondo coscienza, riacquistare il gusto del rendiconto in tutte le sfere della vita, significa ripristinare il principio di liceità, riaffermare, nei diversi contesti formativi, il primato dell’etica e diffondere l’indignazione verso l’attitudine al male.

Fernando Mazzeo

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