I docenti peruviani, ovviamente, l’hanno presa male.
Spinti dai sindacati, che temono si tratti principalmente di una strategia per tirar via dalle aule un bel po’ di lavoratori e migliorare i conti dello Stato, si sono mobilitati: in 40.000 (su un totale di 350.000) sono riusciti ad organizzare ben due settimane consecutive di astensione dal lavoro.
E al quindicesimo giorno qualcosa hanno ottenuto: la promessa di un prossimo un faccia a faccia dei loro rappresentanti con il governo. Non sappiamo come andrà a finire il tentativo di concertazione dei sindacati: l’impresa di far ritirare l’dea del test delle competenze non è certo facile; soprattutto alla luce della determinazione con cui il governo ha sinora condotto l’intera faccenda. Un governo che pur calcando la mano (per evitare tanto clamore sarebbe bastato assicurare ai prof senza credenziali per insegnare il mantenimento del posto di lavoro in altri ruoli), in qualche modo va anche compreso: quel che è certo che oggi i vertici politici peruviani si trovano a dover sanare gli errori fatti dai governi precedenti.
Chi ha permesso, infatti, l’assunzione indiscriminata di tanti insegnanti senza nemmeno le basi più elementari, evidentemente senza curarsi minimenante della loro effettiva preparazione? Il problema, ma questo non accade solo in Perù o nei Paesi cosiddetti di seconda o terza fascia, purtroppo non è solo quello del risparmio sul comparto meno ‘produttivo’ dello Stati.
Il fatto è che alla base di tutto c’è una vera carenza culturale da parte degli insegnanti: basta dire che al termine della prima e sinora unica prova, svolta a febbraio, la metà dei docenti della scuola pubblica peruviana ha dimostrato difficoltà nel risolvere quesiti matematici, mentre circa il 35% ha palesato problemi di comprensione nella lettura.
Siamo sicuri che nel mondo industrializzato, dove la fantasia a volte farebbe bene a superare l’immaginazione come accaduto all’istruzione del Perù, le cifre siano completamente diverse?
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