Una docente e la filastrocca della speranza per una scuola che è troppo a distanza [VIDEO]

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Lorenza Montanari è una docente emiliana di scuola primaria (si definisce un po’ attempata, ma in realtà ha 61 anni) che ha inviato alla nostra Redazione una filastrocca sulla didattica a distanza e il rapporto con i bambini dal titolo “Filastrocca della speranza, per una scuola che è troppo ‘a distanza’“.

Nella foto: l’insegnante Lorenza Montanari

Siamo rimasti piacevolmente sorpresi da questa idea ed abbiamo deciso di pubblicarla sotto forma di video. Naturalmente la curiosità di saperne di più della sua vita e dei suoi interessi ci ha portato ad un’intervista con l’autrice.

Lorenza Montanari, com’è nata l’idea di questa filastrocca?

“In questi tempi di pandemia, sono stata sorpresa del fatto che tutti parlassero ‘dei’ bambini o ‘per’ i bambini, senza usare loro dirette testimonianze o senza lasciarli parlare davvero”.

“Ho chiesto così ad alcuni di loro di raccontarmi con le proprie parole e con semplici esempi concreti, di cosa sentono attualmente e prepotentemente la mancanza. La mia filastrocca è nata così: senza premeditazioni, ma con lo sforzo autentico di dar voce a chi non viene sufficientemente ascoltato: i nostri bambini. Ho scelto di scrivere in rima perché, soprattutto ai più piccoli fra loro, piace giocare con la componente fonologica e ritmica dei testi e delle parole, da ripetere come ritualità o gioco di assonanze.

Che ruolo ha nella scuola?

“Ho lavorato per un circa un ventennio come insegnante su posto comune e, successivamente, come specialista di lingua inglese, per poi essere distaccata in qualità di Tutor Organizzatore di Tirocinio (CdL in Formazione Primaria) presso l’Ateneo di Modena e Reggio Emilia, nel quale lavoro da oltre 15 anni, occupandomi di formazione dei docenti. Non possiedo più una specifica classe, né un gruppo particolare di alunni da poter chiamare, (utilizzando una tipica espressione scolastica’), ‘i miei bambini’…”.

Come descriverebbe il suo rapporto con gli alunni?

“Sono stata un’insegnante severa: ho sempre nutrito alte aspettative nei confronti dei miei alunni, ritenendoli potenzialmente capaci di conquiste e apprendimenti significativi e autonomi… Mi sono però, contemporaneamente, sforzata di bilanciare le mie richieste con cura e attenzione nei loro confronti, cercando di essere un adulto coerente, senza mai fare troppi sermoni.

“Credo di non avere mai dimenticato le parole di Danilo Dolci secondo cui ‘Ognuno cresce solo se sognato’ e non ho mai potuto dimenticare, nonostante sembri oggi molto anacronistico, che la scuola è anche, inevitabilmente, un ambiente di fatica e resilienza, elementi essenziali per crescere”.

Ci racconta la sua esperienza durante questo periodo di Covid?

“Senza voler ‘demonizzare’ l’uso di strumenti virtuali di cui riconosco i tanti vantaggi pratici (e non solo!), continuo a credere che i veri cambiamenti sul campo e fra i banchi, passino dalla competenza, professionalità e sensibilità pedagogica dei docenti, e dalla loro abilità nel lavorare insieme, compiendo scelte coraggiose e consapevoli”.

“Sono convinta che la scuola debba tornare all’essenziale del suo mandato culturale e sociale e che, per alfabetizzare realmente, si debba ‘fare meno per fare meglio’, riducendo l’overdose di stimoli didattici che si propongono agli alunni, in favore della capacità di abituarli a riflettere, entro spazi di apprendimento più lenti , capaci di trasmettere l’abitudine a non accontentarsi della superficialità, nelle proprie azioni come nella costruzione della conoscenza”.

Quale il ruolo degli insegnanti?

“Conosco molto bene la grande e sempre crescente fatica dei docenti e sono convinta che sarebbero i primi a beneficiare di questa inversione di tendenza”.

“Le troppe richieste e pressioni che ha oggi la scuola e a cui gli insegnanti devono rispondere rischiano infatti di far loro ‘smarrire’ e perdere di vista il gran bene che hanno fra le mani: condividere un pezzo di strada con chi sta crescendo, aiutandolo a scrivere il proprio futuro e a conoscersi”.

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