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Valutazione studenti, Viola Ardone: “non bisogna aver paura di dare voti, altrimenti non si migliora”

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La questione del voto di comportamento, quello conosciuto come voto in condotta, ormai da giorni è l’argomento di dibattito principale. Dopo il caso della docente di Rovigo, colpita dai pallini di una pistola ad aria compressa dagli studenti, i quali sono stati promossi con 9 in comportamento, ha suscitato non poche polemiche, facendo intervenire anche il ministro dell’Istruzione e del Merito. Valditara, infatti, ha invitato la scuola a riconvocare il consiglio di classe. E proprio nel pomeriggio di ieri, martedì 27 giugno, il consiglio è stato riconvocato ed è arrivata la notizia: i voti sono stati abbassati, sono spariti i 9 e sono arrivati dei 6 e dei 7.

A commentare la vicenda è stata anche la scrittrice e docente Viola Ardone sulla Stampa. Ardone ha raccontato un episodio analogo, di comportamenti discutibili, arrivando a una conclusione: “Insegnare è un mestiere difficile anche per questo, perché gli esiti di ogni tua azione li scopri nel tempo, più che nell’immediato, a volte non li vedrai mai, perché quei ragazzi crescono in fretta, ti salutano e magari un giorno si ricorderanno di quella lezioncina sui rischi dell’alcol o sul rispetto delle regole”.

E continua: “La scuola è difficile anche perché comporta un giudizio, che allo stesso tempo non deve essere una sentenza. La scuola non condanna e non assolve. I voti di fine anno, così come quello di comportamento (che un tempo si chiamava “condotta”) sono in realtà delle foto, istantanee scattate dai docenti per mostrare ai ragazzi i progressi fatti: se sono riusciti più o meno bene a dominare un argomento, una competenza, una lingua straniera, una lingua morta o moribonda. Se hanno compreso come si abita il mondo della socialità, come ci si relaziona con gli altri in modo da crescere tutti insieme e senza prevaricazioni, come ci si rapporta con un docente non perché è barricato dietro la cattedra, ma per il ruolo che ricopre in quel setting particolare che è la classe. Da questo punto di vista, allora, non bisogna aver timore, io credo, di attribuire un “punteggio” su una scala da 1 a 10. Non perché i ragazzi siano numeri ma perché abbiano un parametro sul quale misurarsi e crescere, come le tacche che mia nonna segnava sullo stipite della porta della cucina ogni volta che andavo a farle visita da piccola. Poi, certo, quel numero va spiegato, va commentato con le parole, con le azioni, con l’esempio personale”.

Su quello che è successo fa un’analisi molto chiara: “È evidente che da una prof super assenteista o da un collega disamorato del suo lavoro nessun alunno accetterà, giustamente, di essere valutato. Ma in generale, a parte casi limite di docenti del tutto privi di autorevolezza, ho notato che i ragazzi sono capaci di autovalutarsi con molta precisione. Lo sanno se hanno meritato un quattro, anche se sono felicissimi naturalmente se tu invece gli metti sei. Allo stesso modo, gli studenti di Rovigo che hanno impallinato la loro prof sanno bene che quel nove in comportamento forse non è stato proprio meritato. Chissà, magari i colleghi del Consiglio di classe avranno fatto questa scelta per rimarcare la loro evoluzione positiva, per “fotografare” appunto un cambiamento, il successo di un percorso formativo. La prova provata che la scuola serve, che se ne può uscire migliori di come ci si è entrati, che è possibile imparare dai propri sbagli. Oppure invece per lasciare nella memoria di questi ragazzi il ricordo bruciante di un voto immeritato, che in alcuni casi può essere anche peggio di uno scampato pericolo”.