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Arriva il 2019, per Di Maio sarà l’anno del cambiamento. Non per la Scuola: stipendi e supplentite al palo

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Il 2019 sarà l’anno del cambiamento: parola del vicepremier e ministro del Lavoro Luigi Di Maio. Intervistato dal Tg1, il leader pentastellato ha detto che “in 7 mesi di governo” siamo riusciti a “portare a casa il reddito di cittadinanza, le pensioni minime, quota 100, i fondi per i truffati delle banche, fondi per la ricerca”.

Secondo Di Maio quello realizzato dall’esecutivo giallo-verde “è un ottimo passo avanti per far sì che il 2019 sia l’anno del cambiamento: la nostra più grande ambizione è che i cittadini possano percepire nei primi mesi dell’anno prossimo gli effetti della legge di bilancio”.

Bussetti: risolte questioni importanti

Sarà l’anno del cambiamento anche per la scuola? L’argomento è stato toccato dal ministro dell’Istruzione: Marco Bussetti ha detto che “con la manovra siamo intervenuti risolvendo questioni importanti, come quella dello stipendio degli insegnanti che rischiava di essere decurtato già a partire dal mese di gennaio. Il precedente Governo non aveva infatti stanziato fondi sufficienti in occasione dell’ultimo rinnovo del contratto collettivo nazionale. Abbiamo recuperato quello che serviva e messo in salvo i salari”.

Concorsi in arrivo

Il titolare del Miur ha ricordato che con la legge di bilancio si sono aperte “le porte della Scuola ai giovani che vogliono insegnare: avremo concorsi snelli e banditi regolarmente. Chi vince va in cattedra: niente più anni infiniti di precariato prima del contratto a tempo indeterminato. Nella fase attuativa terremo naturalmente conto anche di chi ha già fatto un percorso di insegnamento che dovrà essere valorizzato”.

Bussetti, lo abbiamo detto sin dal primo giorno del suo approdo al dicastero di Viale Trastevere, è un uomo di scuola. E conosce le sue esigenze. In effetti, stipendi e precariato sono due emergenze su cui intervenire. Probabilmente le più cogenti.

Il lavoro però svolto dal Governo e dal Parlamento in questa direzione non appare particolarmente importante.

Stipendi sostanzialmente fermi

Gli stipendi dei docenti, dopo i tanti riferimenti alla necessità di ancorarli alle cifre “europee”, rimangono modesti: stanziare per il 2019 poco più di un miliardo per gli aumenti dei dipendenti pubblici, confermando di fatto gli importi attuali, innalzati solo dell’indennità di vacanza contrattuale a partire dal prossimo aprile, è in perfetta linea con quanto fatto dai precedenti Governi.

Allo stesso Pd, da cui si dice di voler prendere le distanze, servirono cinque anni per innalzare i compensi degli statali del 3,48%, con 85 euro lordi, peraltro nemmeno garantiti per tutti.

Reclutamento rivisto, ma non troppo

Anche nell’ambito del reclutamento, il Governo avrebbe potuto dare un’impronta maggiore. Perché è vero che si sono cancellati, a furor di popolo, la chiamata diretta e gli ambiti territoriali, ma è anche vero che investendo tutte le energie sui concorsi, a cattedra e straordinari, si è perso di vista il problema numero uno della scuola pubblica italiana: l’altissimo numero di precari, che nel 2018 è tornato a numeri maxi, con oltre 150 mila supplenze annuali sottoscritte.

Prevedere l’attivazione di concorsi pubblici per qualche migliaio di vincitori, lascerà nella condizione di supplenti due docenti precari su tre.

Per fronteggiare questa emergenza, nella passata legislatura fu attivato un piano straordinario di immissioni in ruolo per 150 mila docenti, poi ridotto a 100 mila.

L’attuate esecutivo ha scelto un’altra strada, anche perché quell’operazione del Pd ha mostrato tutti i suoi limiti nella fase esecutiva. Tuttavia, il problema numero uno (la stabilizzazione dei precari storici, con più di tre anni di servizio svolto) non si può risolvere solo con i concorsi straordinari. A meno che non si decida da far passare per quel canale quasi 100 mila persone in lista di attesa.

I giudizi sospesi

Sugli altri provvedimenti approvati con la legge di bilancio 2019, si devono probabilmente rimandare i giudizi: i percorsi della nuova alternanza scuola-lavoro, l’incremento del tempo pieno e delle risorse per le scuole, l’introduzione di 12 mila maestri di motoria alla primaria, in particolare, possono essere considerati dei primi passi. Verso quel cambiamento che tutti si aspettano. Anche nella scuola.