Attualità

Contro le guerre, le scuole devono essere laboratori di pace [INTERVISTA]

Sempre più spesso si parla della scuola come “laboratorio di pace”, cioè come di un luogo, un ambiente capace di far maturare negli alunni il significato più autentico della pace, intesa non solo come “assenza di guerra”.
Ne parliamo con Rosa Preziosi, dirigente scolastica presso l’Istituto Comprensivo “Tullia Zevi” di Roma

Dirigente, purtroppo la guerra fa parte della storia umana, e sembra un male ineliminabile. La scuola cosa può fare qualcosa?

Io credo che l’educazione abbia un ruolo fondamentale perché rappresenta la fonte cui attingono i leader di domani e gli esponenti della società civile del futuro. Si tratta di capire quale dovrebbe essere il ruolo delle istituzioni scolastiche in un mondo attraversato dai conflitti, dopo aver analizzato le conseguenze della guerra sul mondo dell’educazione giovanile.

Cosa intende dire?

Da molti anni, importanti organizzazioni internazionali come l’UNICEF ed il Comitato della Croce Rossa cercano di quantificare i danni alle istituzioni scolastiche durante i conflitti per misurarne l’impatto sulla vita dei bambini. I danni alle infrastrutture scolastiche sono i più visibili ed i più facili da individuare, e danneggiano in modo visibile il diritto all’istruzione.
Tuttavia, oltre ai danni diretti delle guerre vi sono anche aspetti indiretti che danneggiano la capacità di apprendimento degli alunni e limitano le loro possibilità di sviluppo personale e professionale nel futuro.

Per esempio?

Secondo uno studio condotto durante la Seconda Intifada in alcune scuole medie in Cisgiordania, il conflitto aveva largamente diminuito la partecipazione degli studenti all’esame di stato che si effettua alla fine di quel ciclo, oltre ad averne significativamente diminuito il punteggio medio. In maniera del tutto similare, il conflitto siriano, che ad oggi perdura, ha drasticamente ridotto la quantità di studenti che proseguono con gli studi superiori anche in quelle provincie non interessate direttamente dai bombardamenti. Preme ricordare che nella Siria anteguerra il livello di scolarizzazione della popolazione risultava tra i più alti dell’area.
Questi due esempi ci testimoniano una semplice e brutale realtà: i danni delle guerre si protraggono nel futuro poiché limitano il livello di istruzione e quindi lo sviluppo economico di un intero popolo.

Egoisticamente possiamo dire che sono guerre lontane da noi, che non ci toccano più di tanto…

E’ sbagliato pensare questo, perché le guerre hanno effetti anche negli altri Paesi che non sono direttamente coinvolti nel conflitto.
La situazione psicologica dei bambini influisce infatti moltissimo sul loro apprendimento, e la continua esposizione ai media contribuisce a portar loro la guerra in prima visione. Non solo, talvolta la scuola viene investita di un ruolo di “sensibilizzazione al conflitto” che può dar luogo a situazioni al di là di ciò che si concepisce normalmente per una istituzione scolastica.

Si spieghi meglio…

Posso fare un esempio ben preciso: per via dell’attuale conflitto in Ucraina, la Polonia ha introdotto nei curricula corsi sull’impiego di armi da guerra e di formazione difensiva. A cosa porta un intervento di questo tipo in una prospettiva di lungo termine? È opportuno modificare i curricula scolastici in tempi di conflitto o di “terza guerra mondiale a pezzi”?
Il fatto è che intervenire sui programmi scolastici significa intervenire sul nostro stesso futuro. Ciò che gli studenti apprendono oggi plasmerà in maniera significativa il loro modo di guardare il mondo e quindi di agirvi. Questo fatto rappresenta un’enorme responsabilità per il legislatore e per la comunità educatrice nel suo complesso. Pertanto, si dovrebbero effettuare modifiche solo dopo una accurata analisi di ciò che si vuole alterare e soprattutto solo dopo averne soppesato l’effetto sui bambini.

E quindi, nel concreto, la scuola cosa potrebbe fare?

La Scuola ha la grande opportunità di proporsi come laboratorio di pace in un mondo in pieno tumulto di guerra. Si dovrebbe pensare a come creare “spazi psicologicamente sicuri” per il confronto, per l’approfondimento dell’attualità filtrata opportunamente a seconda delle fasce d’età degli studenti e per il dibattito rispettoso. Vediamo come oggi più che mai la capacità di dibattito tanto cara agli antichi greci va sparendo, e prende il sopravvento l’aggressione verbale.

Si riferisce forse alla tecnica del “debate”?

Sì, credo che si dovrebbe guardare con maggiore attenzione ai corsi di “debate” nelle scuole americane dove si continua la tradizione greca di allenare gli studenti al confronto a squadre su tematiche di attualità. I ragazzi individuano i punti a favore della loro tesi, cercano di difendere i punti deboli e di convincere l’auditorio formato ugualmente da compagni di scuola. Per massimizzare il loro livello di flessibilità, ma anche per consentirgli di capire meglio le ragioni dell’altra parte talvolta le squadre vengono scambiate a metà dibattito.

E a che serve tutto questo?

Ovviamente, questa pratica aumenta la capacità dei ragazzi di analizzare anche le cose più dolorose, come i conflitti tristemente in corso, con gli strumenti dell’analisi e del discernimento. Dobbiamo allenare i nostri alunni alla composizione dei conflitti, all’ideazione di soluzioni, non al semplice pacifismo ma alla risoluzione dei problemi usando strumenti come la conoscenza della storia, delle istituzioni internazionali, delle basi del diritto. È solo rinforzando le loro difese culturali oggi che difenderemo il mondo dalle guerre di domani.

Reginaldo Palermo

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