
Quando non si è abituati a frequentarli, è possibile che un’improvvisa sovraesposizione a media e social possa generare confusione, vertigine, tanto da non riuscire a governare come si deve le parole.
Questo deve essere accaduto a Don Patriciello che, intervistato dall’agenzia AdnKronos a proposito del brutto fatto di cronaca che vede una docente di sostegno accusata di reati sessuali nei confronti di alcuni suoi alunni, ha dichiarato che “spesso gli insegnanti di oggi lasciano a desiderare”, chiedendosi “a chi affidiamo i nostri ragazzi”.
Ci soffermiamo sull’impiego, da parte di Don Patriciello, dell’avverbio “spesso”, che il dizionario della Treccani così definisce: frequentemente, ripetutamente, molte volte.
Ora, sostenere che “frequentemente” accade che un docente commetta atti simili – fermo restando che nel caso della docente in questione non c’è ancora un giudizio di colpevolezza – significa offendere una categoria di professionisti che educano e formano con competenza e abnegazione i nostri bambini e adolescenti.
Come dire che, a causa di un errore in sala operatoria o in sede di diagnosi, “spesso i medici di oggi lasciano a desiderare”. Sarebbe accettabile? Di certo no.
O, perché no, affermare, dopo un caso di pedofilia da parte di un sacerdote – e certamente i casi sono tanti – che “spesso i sacerdoti di oggi lasciano a desiderare”. Accettabile? No, neanche questo.
E così via, tanti altri esempi potrebbero essere fatti.
Morale della storia? Le parole sono importanti e vanno usate correttamente. Don Patriciello stia tranquillo, i nostri ragazzi sono in buone, ottime mani.