
È il periodo, questo, in cui molti si iscrivono a bandi e concorsi indetti da amministrazioni pubbliche (ad esempio università). Al riguardo va ricordato che la legge di stabilità (il Bilancio) del 2012, e nello specifico l’art. 15, comma 11, della legge 12 novembre 2011, n. 183, stabilisce che le pubbliche amministrazioni e i gestori di pubblici servizi non possono più chiedere o accettare certificati, ma sono obbligati ad accettare le dichiarazioni sostitutive di certificazione presentate dai soggetti che presentano domande.
In sostanza, dal 2012 (la legge di bilancio è entrata infatti in vigore il 1° gennaio 2021) i certificati sono stato sostituiti dalla autocertificazione in tutti i rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione.
In conseguenza di ciò, i certificati che sono rilasciati ad esempio da una scuola, ad uso di privati, riportano la seguente frase: “il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi” e sui certificati da produrre ad enti pubblici o privati stranieri deve essere apposta la dicitura indicata e in aggiunta “valido all’estero”.
Le conseguenze
La applicazione della legge ha provocato e provoca diverse complessità, a fronte di una evidente e lodevole semplificazione della vita per i cittadini.
Le scuole, ad esempio, se vogliono (e in alcuni caso devono) verificare la veridicità dell’autodichiarazione di un cittadino (ad esempio il possesso di un titolo di studio di laurea per accesso a graduatoria) devono scrivere all’università che lo ha rilasciato con l’allungamento, spesso biblici, dei tempi e un evidente maggiore onere burocratico per la pubblica amministrazione (sia chi chiede sia chi risponde).
Del tutto illegittimo però è chiedere al cittadino – per abbreviare i tempi – di produrre direttamente lui il certificato in questione.
Altrettanto evidente è l’obbligo del cittadino di non dichiarare/autocertificare titoli “falsi” o parzialmente falsi. Cosa che a volte avviene, come testimoniano le cronache, dando il via alla denuncia per falso ideologico ai sensi dell’articolo 47 del DPR 445/2000. Si tratta infatti di un reato punibile ai sensi del codice penale (art. 483).