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Il viaggio del Papa in Terra Santa nel giorno del silenzio elettorale in Italia

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Lo stile di Bergoglio è inconfondibile: la sua macchina è scoperta e la gestualità spontanea tanto da rompere il protocollo, scendere a stringere tante mani, come un amico e fratello tra due ali di folla dal volto disteso. Dei palloncini colorati guadagnano il cielo a forma di rosario mariano in questo 24 maggio festa dell’Ausiliatrice. Nello stadio di Hamman in Giordania, assolato e gremito in ogni dove, echeggiano amplificati in modo approssimativo canti religiosi in arabo, italiano e spagnolo. Disposti sul campo da gioco 1400 bambini dal volto sorridente e in abito bianco di prima comunione preparato da mani familiari. Il papa – pellegrino vescovo di Roma – inizia la Messa in lingua italiana e le invocazioni di perdono del coro sono in arabo. Non è la cappella Sistina ma chi ascolta avverte la commozione dei partecipanti. I disabili sono schierati nei posti migliori tra tutti i 30.000, mentre il Kyrie è in latino e il Gloria è cantato in arabo ma nel gregoriano della messa “De Angelis”. Si alternano le lingue nella liturgia della parola mentre il papa in paramenti di una semplicità francescana è in meditazione sotto una struttura assai modesta e solenne di un bianco “gazebo” che copre l’altare. Il riferimento al fiume Giordano del salmo 65 sembra fatto di proposito nella messa della VI domenica dopo Pasqua e la breve omelia di Francesco è in Italiano ma subito dopo sintetizzata in arabo da un vescovo locale. Commenta il vangelo del Battesimo di Gesù al Giordano con la manifestazione dello Spirito santo che prepara all’incontro, indica il Messia (Unto del Signore) e lo invia come testimone di pace. Perché LA PACE NON SI VENDE E NON SI PUO’ COMPRARE, ma si costruisce in modo “artigianale” con gesti semplici giorno per giorno. Perché facciamo tutti parte di una sola umanità sulla Terra. L’Amen di chiusura della predica è un pensiero del papa ai tanti rifugiati cristiani presenti in Giordania perché scappati dalla Palestina, dalla Siria ed Iraq. E segue un silenzio di riflessione. Quanti cappellini bianchi e gialli sotto il Sole cocente del pomeriggio! Poi in lingua araba si percepisce la melodia di un canto che in tutte le parrocchie italiane si esegue dagli anni 70: “Guarda questa offerta, guarda a noi Signore… Nella tua messa, la nostra messa!”. Due gigantografie dei nuovi santi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II partecipano ai lati del “gazebo”, mentre viene intonato il “Padre nostro” in arabo con le voci sovrastanti e non perfettamente intonate dei vescovi concelebranti. Anche l’Agnus Dei è in arabo, però in tono gregoriano, come il Kyrie. Oggi è la festa dell’indipendenza del regno di Giordania e il Patriarca di Gerusalemme, dando il saluto ufficiale al Pontefice romano, declina le sfide di uno Stato ad alto numero di cattolici, proiettati all’unità e all’armonia, in una Terra Santa piena di contraddizioni e di divisioni. Uno Stato piccolo per territorio e povero di risorse economiche ma con una popolazione dal cuore grande ed ospitale ma che purtroppo assiste impotente all’emigrazione dei suoi figli più preparati. E il suo augurio per papa Francesco è che possa essere il padre che ama, ascolta e condivide. Anzi che sia il nuovo Giovanni Battista per preparare la via del Signore in difesa dei più deboli. Nello stadio ci sono applausi e fischi di gioia di stile americano e il coro che intono (in arabo!): “Il 13 maggio apparve Maria…”