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La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani compie 76 anni, ma per troppi bambini andare a scuola resta un sogno

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Oggi è la Giornata mondiale dei Diritti Umani. Istituita nel 1950 dall’ONU, si celebra il 10 dicembre perché proprio in questa data, nel 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, un documento che proclama i diritti irrinunciabili che tutti gli esseri umani possiedono, senza alcuna distinzione.

Il Documento è composto da un Preambolo seguito da 30 articoli, il primo dei quali riprende quasi alla lettera il primo articolo della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789, si era allora in piena Rivoluzione francese: Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Sono dotati di ragione e coscienza e dovrebbero agire gli uni verso gli altri in uno spirito di fratellanza.

Più o meno le stesse parole si leggono nella cosiddetta “Dichiarazione di Bogotá”, adottata dalle nazioni americane durante la IX Conferenza internazionale degli Stati americani svoltasi in Colombia nell’aprile del 1948.

Nella Dichiarazione di cui oggi si celebra l’anniversario sono elencati una serie di diritti considerati inalienabili: il diritto alla vita, alla libertà, alla sicurezza, a essere tutelati dalla Legge, a eleggere la propria residenza liberamente entro i confini di ogni Stato, così come a muoversi e spostarsi liberamente da un Paese all’altro. Seguono poi la libertà di espressione, opinione, coscienza e religione, fino ad arrivare all’art.26, che è quello che ci riguarda più da vicino, in quanto docenti, educatori e analisti di questioni scolastiche: Ogni individuo ha diritto all’istruzione (…) L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana e al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Deve promuovere la comprensione, la tolleranza e l’amicizia tra tutte le nazioni, i gruppi razziali o religiosi e deve favorire le attività delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace.

Dichiarazione d’intenti nobile e condivisibile, ma a 76 anni dalla sua formulazione non ci sembra – purtroppo – che tutti i bambini e le bambine del mondo siano nelle condizioni di esercitare questo diritto.

Come ricorda, infatti, l’organizzazione Sos Villaggi dei bambini – Italia, dagli ultimi dati UNESCO, riferiti al 2023, emerge che nel mondo ci sono ancora 244 milioni di minorenni che non vanno a scuola. Numerosi i fattori di esclusione: si va dalla povertà economica alle guerre e instabilità politica; dalle discriminazioni basate su genere, etnia o disabilità che impediscono l’accesso all’istruzione a molti bambini, ai problemi legati alle malattie, malnutrizione e mancanza di servizi sanitari adeguati.

La maggior parte dei minorenni che non vanno a scuola si trova nei Paesi a reddito basso o medio basso. L’Africa Subsahariana è l’area geografica con il numero più alto di bambini ai quali è negata l’istruzione, circa 98 milioni. Seguono l’Asia Meridionale, con 85 milioni, l’Asia Orientale e il Pacifico, con 35 milioni, gli Stati Arabi, con 15 milioni, e l’America Latina e i Caraibi, con 6 milioni.

E come non pensare alle bombe che ancora adesso in Ucraina o a Gaza mietono vittime anche tra i più piccoli? Nei luoghi devastati dalle guerre, parlare di diritto all’istruzione sembra uno scherzo di cattivo gusto.

Insomma, pace e buone condizioni economiche sono i due requisiti fondamentali senza i quali non è possibile esercitare un diritto così tanto importante per il futuro dell’umanità. Questo traguardo, malauguratamente, ci sembra ancora tanto lontano.