Home Personale L’insegnamento nelle scuole all’estero: per la Corte costituzionale nessuna restrizione

L’insegnamento nelle scuole all’estero: per la Corte costituzionale nessuna restrizione

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Alle selezioni per insegnare all’estero possono partecipare solo coloro che risultino residenti da almeno un anno nel Paese estero ospitante: ebbene nel caso di specie, tale restrizione, a giudizio del Collegio, non appare assistita da adeguate ragioni giustificatrici e finisce con il ridurre in modo arbitrario ed irragionevole la platea dei possibili candidati: non si rinvengono, invero, quelle “peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico” (cfr. sentt. n. 52 del 2011 e n. 137 del 2013) che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, possono consentire legittime deroghe al principio del concorso pubblico; né la restrizione in parola appare propriamente “funzionale” al buon andamento dell’amministrazione scolastica statale all’estero (e, più in generale, al corretto e proficuo raggiungimento degli obiettivi del “sistema della formazione italiana nel mondo”, quali declinati dall’art. 2, d.lgs. n. 64 del 2017, sistema che vede proprio nelle scuole statali all’estero una delle proprie principali articolazioni) in quanto, per un verso, il requisito di residenza è qui imposto per l’insegnamento non delle materie obbligatorie secondo la normativa locale (come è, invece, per la diversa ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 31, d.lgs. n. 64 del 2017) ma per l’insegnamento delle materie obbligatorie secondo l’ordinamento italiano – con venir meno, pertanto, di ogni possibile collegamento tra tale insegnamento e l’esperienza “di vita” all’estero che tale requisito sembra voler perseguire – mentre, per altro verso, la stessa conoscenza (da parte del docente che abbia vissuto per almeno un anno nel Paese estero) dell’ambiente locale e di eventuali connesse esigenze ambientali non pare ergersi, nel caso di specie, quale adeguato e ragionevole criterio di preselezione, non apparendo esso in alcun modo ricollegabile, come mezzo al fine, all’assolvimento di un servizio (l’insegnamento delle materie obbligatorie secondo il nostro ordinamento) altrimenti non attuabile o almeno non attuabile con identico risultato, secondo quanto precisato dalla riportata giurisprudenza costituzionale.

La sentenza

Il sito del Miur riporta la sentenza, nella quale si dice pure: Sotto altro profilo, poi, la previsione del requisito della residenza determina una disparità di trattamento tra i candidati, apprezzabile sulla scorta dell’art. 3 Cost.: pur se, secondo la legge (cfr. l’incipit del comma 2 dell’art 31 cit.), gli insegnamenti de quibus possono essere affidati sia a personale italiano sia a personale straniero, il requisito in questione finisce con il far prevalere quest’ultima categoria.

Il vantaggio dei residenti

E’ evidente, infatti, che i docenti stranieri, ed in particolare quelli che abbiano la cittadinanza del Paese ospitante, hanno maggiori possibilità di soddisfare il requisito della residenza almeno annuale, rispetto ai docenti italiani che generalmente non vivono all’estero. Di conseguenza, quel requisito finisce per indirizzare le selezioni a vantaggio di coloro che, per ragioni legate alla propria nascita e/o alle proprie origini nel territorio straniero, possano vantare un legame di fatto più forte con quel territorio, e ciò a discapito dei candidati, come gli odierni ricorrenti, che hanno cittadinanza italiana (o di qualsiasi altro Paese): ma senza che la preferenza così accordata a quel legame – come già visto – possa dirsi funzionalmente collegata alle esigenze dell’amministrazione.