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Nuovi dirigenti scolastici. Paolo Fasce: “Il dirigente deve essere servo, nel senso che deve servire a qualcosa”

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Continuiamo il nostro “viaggio” fra i neo dirigenti scolastici parlando questa volta con Paolo Fasce che dal 1° settembre dirige l’Istituto nautico di Genova e Camogli, nato qualche anno fa dall’accorpamento di due scuole.

Qual è la sensazione, dopo due settimane di lavoro? Quale aspetto le piace di più?

La sensazione è ancora quella del surfing sull’euforia. L’impatto con un nuovo contesto che ha mille diramazioni è faticoso, ma affrontare le cose con entusiasmo aiuta. L’istituto che dirigo è inserito in molte reti che, perché non siano monadi, devo contribuire a connettere. Questa è la cosa che mi piace di più, fare in modo che i diversi organi che insistono sulla mia scuola si parlino, diventino un sistema interconnesso.

E la cosa che le piace meno?

L’aspetto che mi piace di meno è legato ai limiti strutturali della scuola. Devo rispettare graduatorie per chiamare persone che so già essere inadeguate e devo curvare il potenziamento per evitare di avere una fila di genitori fuori dalla porta che si lamentano di un insegnante incapace di insegnare.
Questo sistema è nato per evitare le clientele, e lo capisco, ha tuttavia effetti gravemente nocivi della qualità dell’offerta formativa della scuola pubblica statale.

Insomma, lei vorrebbe avere maggiore libertà nelle assunzioni, almeno per quelle che riguardano il personale a tempo determinato…

Assolutamente no, non sostengo che dovrei essere io, dirigente scolastico, a selezionare, ma credo che una commissione di pari (il Comitato di Valutazione, integrato da insegnanti della materia) potrebbe essere uno strumento adeguato e sufficiente ad evitare preferenze familistiche. Anche sul fronte del personale ATA, credo che dovrebbe essere una partita passata interamente agli Uffici delle Politiche Attive del Lavoro perché abbiamo difficoltà a reperire personale che aspetta la scuola sotto casa e affini. Un esempio comprensibile e paradossale alla luce del magico mondo delle graduatorie di istituto: ho appena assunto una persona in Segreteria, so già che diventerà supplente entro qualche settimana, così passerà a quella mansione e dovrò chiamare un altro per coprire quel posto. Un altro esempio più di nicchia: ho in graduatoria un fonico che mi sarebbe utile, visto che ho un auditorium, ma sarà improbabile riuscire a prenderlo. Andrà chissà dove, quasi certamente questa sua competenza sarà sprecata.

In queste due settimane ha già dovuto affrontare più di una criticità. Ce n’è almeno una che proprio non prevedeva e che l’ha sorpreso?

Sto imparando ad affrontare criticità locali, quelle di una scuola di 1400 studenti suddivisi in tre plessi, uno dei quali suddiviso a sua volta in tre. La chiamata dei collaboratori scolastici per assicurare i servizi necessari è la prima urgenza e il problema è spesso di tipo geografico. Ci sono persone che non accettano il posto a Camogli, vivendo a Genova. Ma queste sono criticità ordinarie. Le criticità strutturali della scuola sono parimenti note e, nel mio piccolo, prima come portavoce di un comitato di precari della scuola che incalzava la politica argomentando e poi tramite il gruppo Condorcet che ha una vision avanzata, già da insegnante le ho viste, analizzate e smontate.
Le maggiori criticità, a mio parere, nascono dalla mancanza delle carriere degli insegnanti e dalle evidenti conseguenze del caso. Molto banalmente, se il 30% degli insegnanti avesse un contratto diverso, che li vincolasse a scuola per tutta la giornata, non ci sarebbero problemi a trovare un fiduciario di plesso che è uno dei problemi che devo affrontare oggi.

Si dice che quello del dirigente è un lavoro in cui si è sempre piuttosto soli. È davvero così ?

È così per due ordini di motivi. Quello strutturale e quello individuale. Sui primi, occorre un grande dibattito nazionale che metta sul tavolo le questioni e le tratti in un quadro di “sistema-paese” e non di bottega. Qualche idea l’ho già espressa qui sopra, ma il discorso è ampio e non si presta a semplificazioni, fossero anche quelle solo apparentemente dotte degli Ernesto Galli della Loggia, dei Massimo Recalcati, dei Corrado Augias e affini. I secondi sono legati all’autoreferenzialità dei dirigenti. È evidente, già dopo due settimane, che il Dirigente Scolastico ha dei poteri, ma la mia tesi è che il DS è un servo.

Cioè, si spieghi meglio

Essere servo (ma ovviamente non asservito) è cosa buona e utile, l’alternativa è non servire. Per questo credo che un preside debba assumere l’abito mentale del “servo”. Si deve quindi costantemente domandare se questo o quell’atteggiamento “serve” a costruire un buon clima, oppure semplicemente accelera un processo, ma lascia col fiato corto la relazione, l’entusiasmo, le necessità che Maslow ci ha mostrato nella parte alta della sua piramide e che un dirigente scolastico deve saper soddisfare, pena l’isolamento per causa propria.
Se non è un servo e vuole fare il “padrone”, inevitabilmente si isola e tenderà a mantenere i legami secondo logiche di potere. A mio modesto parere, il contrario di “servo” non è “padrone”, ma “non servo”, quindi inutile.

L’uso dei nuovi strumenti di comunicazione consente una certa cooperazione con altri colleghi o con lo stesso personale della scuola?

Sul fronte della comunicazione interna, mi pare che il PNSD e i nuovi strumenti di comunicazione che sono disponibili in tutte le scuole, penso in particolare a Gsuite e ai registri elettronici, rendono un neo dirigente capace di comunicare con i vari nodi della rete scolastica con una certa agilità. Occorre evitare di esagerare ed essere sintetici ed efficaci. Per questo quando scrivo alla lista docenti@dominiodellascuola o ad ata@dominiodellascuola, le prime tre righe sono dedicate ad una sintesi del contenuto corposo del messaggio ed esplicito i destinatari. In questo modo consento a chi non è nel target di non perdere tempo e a tutti di valutare se/quando leggere.

E’ ancora presto per poterlo dire, ma le sembra che il nuovo lavoro le lascerà ancora il tempo per continuare a documentarsi e a studiare?

A giudicare dalle prime due settimane, direi di no. Ma si tratta di un “difetto dell’osservatore” perché inevitabilmente i primi mesi saranno durissimi per le infinite carenze che ciascuno ha nella propria preparazione. Qualunque sia la forma di concorso, mai troveremo la quadra con il mestiere reale che devi svolgere. Temo. Vale anche per gli insegnanti e vale per qualsiasi mestiere complesso, non solo quelli intellettuali, beninteso. Per intanto mi sono già prenotato per il convegno di Rimini “La Qualità dell’inclusione scolastica e sociale” per il quale ho scritto un capitolo per il libro che verrà distribuito a tutti i convegnisti sul tema della cattedra mista